Infrastrutture e ambiente
Infrastrutture, una svolta green per le aree “a margine”
Da Cipag e Università di Perugia un progetto per valorizzare aree marginali autostradali, puntando a creare biomassa, abbattere CO2 e creare bellezza
Il cemento dilaga in Italia, non è una novità, ma è di certo un problema pesante per quello che viene (almeno, veniva) altrimenti chiamato “il Belpaese”, quando era meta di viaggiatori illustri da Goethe a Hemingway, ma anche quando fino a non tanti anni fa era il primo Paese al mondo per presenze di turisti e che oggi si trova al quinto posto (dati Wttc). Se parliamo di turismo è perché, come ha ricordato Gian Antonio Stella, firma storica del Corriere della Sera intervenuta al convegno “Valorizzazione ambientale ed economica delle aree infrastrutturali” organizzato dal Cipag (Cassa Italiana di Previdenza e Assistenza Geometri), il turismo è il settore che nel 2014 ha registrato nel mondo il più forte tasso di crescita quale comparto industriale. Tra l’altro, è oggi il primo al mondo, avendo superato anche quello automobilistico.
Il problema quindi è che ci stiamo giocando sempre più aree belle, paesaggsticamente e ambientalmente parlando. I dati Ispra (2015) testimoniano lo scempio: il consumo effettivo del territorio italiano è del 10,8%. Sì, proprio così, strade: infatti, sempre secondo l’Ispra, le sole strade pesano per il 41% sul consumo di suolo. Quel suolo, superficie agricola o naturale che sia, coperto da asfalto o cemento al ritmo di circa 7 metri quadrati al secondo.
Cosa fare per rimediare, oltre che fermare lo scempio? Al convegno sopra citato è stato presentato un progetto di ricerca e di studio di fattibilità (“Modello di sviluppo delle aree infrastrutturali”) del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali dell’Università degli Studi di Perugia, in collaborazione con Cipag, che punta a recuperare concretamente e a valorizzare le aree “residuali” create dalle infrastrutture destinate alla mobilità.
Dai primi risultati della ricerca, ottenuti tramite l’utilizzo di software GIS (Geographic Information System), emerge che, solo le aree degli svincoli autostradali rappresentano circa 1.500 ettari che potrebbero essere recuperati, con un aumento del valore economico, sociale ed ambientale di 
questi spazi. Per esempio, lo studio ha analizzato nel dettaglio i 47 svincoli dell’autostrada A1, ipotizzando di poter recuperare fino a 91 ettari dei quasi 109 inutilizzati (84%), mentre degli 88,5 ettari attualmente fuori uso perché inclusi tra i 62 svincoli della E45, sarebbe possibile riqualificarne fino all’82,5% (72,9 ettari su 88,5).
Come? Con la riqualificazione di queste aree tramite piantagioni per la produzione di biomassa legnosa o piantagioni per la produzione di legname di pregio; tramite la realizzazione di “isole di bellezza paesaggistica” o di “isole di conservazione della biodiversità vegetale”; e, non ultimo, la realizzazione di sistemi naturali di raccolta delle acque.
Oggi la gestione delle aree infrastrutturali costa all’Anas o alle societaà autostradali costa circa 2.000 euro/ettaro per la pulizia, lo sfalcio e la potatura degli alberi. Questi costi potrebbero essere abbattuti, ma non solo: come ha spiegato Angelo Frascarelli, docente di Economia, Politica Agraria e Sviluppo Rurale presso l’Università degli Studi di Perugia, «Con alcuni progetti di riqualificazione ad esempio usando queste aree per produzioni da biomassa o legname da opera, si possono ridurre questi costi a 500 euro/ha (-75%), con un risparmio di 1500 euro/ha; inoltre si crea fatturato e occupazione su aree inutilizzate». Con il progetto di utilizzazione di queste aree a mantenimento di biodiversità vegetale, ha evidenziato lo stesso professore, si possono creare isole di conservazione delle specie vegetali. Pochi giorni fa è stata approvata in Parlamento la legge sulla biodiversità: ecco che creare isole di biodiversità vegetale e di bellezza paesaggistica non è più una chimera. Ma il vantaggio maggiore è la sottrazione di anidride carbonica dall’atmosfera e il contrasto all’effetto serra. «Uno svincolo, come quello di Orte, da solo, ad esempio è in grado di sottrarre 298 tonnellate di CO2 in 10 anni», ha sottolineato Frascarelli.
Infrastrutture da ritrasformare
Ma ci sono anche altre aree interessanti da portare… a nuova vita: ossia tutte quelle strutture già esistenti, ma in degrado che potrebbero essere reindirizzate a impieghi virtuosi: uno è quello anticipato nello stesso convegno dal direttore Agenzia Demanio, Roberto Reggi, sulle case cantoniere, circa 1600 in tutta Italia, e proprio in questi giorni il ministro Franceschini ha annunciato, potendo trasformare di fatto questi edifici in un nuovo modello di ospitalità per i viaggiatori in Italia.
Ma non è finita: perché ci sono anche le ferrovie abbandonate riconvertibili in piste ciclabili, le caserme abbandonate e tante altre infrastrutture che potrebbero riprendere vita. Con buona pace per lo sviluppo economico, turistico e – perché no – ambientale dell’Italia.
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L'autore
Andrea Ballocchi
Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.
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