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Se un biscotto uccide la tigre di Sumatra

Ambiente

Se un biscotto uccide la tigre di Sumatra

Le conseguenze ambientali della crescente diffusione dell’olio di palma sono gravissime: per la biodiversità, il clima, persino i diritti umani sono minacciati

Scritto da il 22 settembre 2014 alle 8:00 | 1 commento

Se un biscotto uccide la tigre di Sumatra

Può sembrare impossibile eppure, quando la mattina facciamo colazione o ci laviamo, stiamo attivamente distruggendo delle foreste dall’altra parte del mondo. La spiegazione la troviamo nelle etichette dei nostri biscotti o fette biscottate, o dei saponi che usiamo per la doccia e per lavarci i capelli: si chiama olio di palma. È un olio vegetale commestibile ricavato dalla polpa dei frutti di palma, di consistenza solida a temperatura ambiente. La polpa carnosa contiene circa il 50% di olio. Viene utilizzato in particolare nell’industria alimentare (circa l’80% della produzione), ma anche in quella cosmetica e nella produzione di biodiesel, anche se l’Agezia di protezione dell’ambiente statunitense ha bollato la produzione di biocarburante da olio di palma come non ecologica, in quanto genera emissioni superiori a quanto consentito e provoca devastazioni ambientali.

Si tratta di una coltura particolarmente redditizia: per ogni acro di terra può generare una produzione fino a dieci volte superiore a quella della soia, della colza e del girasole. Inoltre, la coltivazione dell’olio di palma occupa il 7% della superficie agricola dedicata a colture di oli vegetali, percentuale inferiore alla quota dedicata alla soia (61%), alla colza (18%) e al girasole (14%). Per via dello straordinario rendimento dell’olio di palma, esso costituisce il 39% della produzione mondiale di olio vegetale. Ogni anno vengono prodotti circa 40 milioni di tonnellate di olio di palma, di cui l’87% proviene dall’Indonesia e dalla Malesia. Per far spazio a queste piantagioni, vengono distrutti ecosistemi importantissimi come le torbiere e le foreste pluviali. Con la sparizione di queste foreste millenarie, sono destinate ad estinguersi le forme di vita ad esse legate, come gli oranghi, le tigri di Sumatra, gli elefanti; questi, in particolare, vengono anche massacrati col veleno perché ritenuti un rischio per le colture. Inoltre gli incendi utilizzati per far spazio alle colture liberano in atmosfera quasi due miliardi di tonnellate di gas serra ogni anno, circa il 4% sul totale mondiale: a causa della deforestazione, l’Indonesia risulta essere il terzo paese al mondo per emissioni di gas a effetto serra soltanto dietro Cina e Stati Uniti.

Anche dal punto di vista dei diritti umani questa produzione risulta insostenibile, a causa del lavoro minorile che vi è legato e allo spostamento di intere popolazioni indigene per far posto alla piantaggioni.

Tra l’altro, le caratteristiche dell’olio di palma lo rendono poco consigliabile per la salute, al punto che l’Organizzazione mondiale per la sanità considera il suo uso un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari.

Contro la produzione di olio di palma sono schierate diverse associazioni ambientaliste; in particolare Greenpeace è molto critica anche verso la Rspo, la filiera della cosiddetta produzione sostenibile, ritenuta una mera operazione di facciata. Il boicottaggio internazionale ha già forzato alcune multinazionali a impegnarsi a combattere la deforestazione. È quindi fondamentale che i consumatori siano consapevoli nei loro acquisti: anche cambiare marca di shampoo o di biscotti può salvare una tigre.


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L'autore

Stefania Marra

Stefania Marra, giornalista professionista dal 1994, è stata per circa dieci anni caporedattrice della rivista Modus vivendi. Dal 2005 gestisce il modulo pratico di giornalismo al Master di comunicazione ambientale (CTS/Facoltà di Scienze delle comunicazioni Università La Sapienza). Scrive soprattutto di storia sociale dell'alimentazione e di ambiente, settore per il quale ha ricevuto diversi premi giornalistici.


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