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Se il carburante diventa “bio” | Tekneco

Tekneco #12 – Biocarburanti

Se il carburante diventa “bio”

Sostenibilità per gli oli trasformati in biocarburanti: la filiera parte dal campo o può arrivare dal ciclo dei rifiuti. Una strategia vincente per l’ambiente

Scritto da il 27 agosto 2013 alle 8:30 | 0 commenti

Se il carburante diventa “bio”

Articolo a firma di Veronica Caciagli

Nell’industria della produzione di biocarburanti le questioni di sostenibilità ed eticità ambientale sono molte e di carattere talvolta contraddittorio: l’utilizzo di biocarburante diminuisce la dipendenza dai combustibili fossili, responsabili delle emissioni di gas serra che provocano i cambiamenti climatici, tramite la riduzione dell’utilizzo del petrolio come materia prima per la produzione di carburante per i trasporti. Da questo punto di vista, la scelta “bio” presenta un notevole vantaggio ambientale.

A volte, peraltro, i biocarburanti sono prodotti con rifiuti, come gli oli fritti usati o residui di altre produzioni, e allora si tratta di una win-win story: non solo contribuiscono a diminuire i gas serra, ma vanno anche a ridurre sostanze che potrebbero essere dannose o di scarto.

D’altra parte, il prezzo crescente sul mercato ha determinato una corsa alla coltivazione di piantagioni in monocoltura per la produzione di oli ad alto contenuto calorifero e basso costo di produzione. Le problematiche derivate sono molteplici, soprattutto quando la materia prima arriva da Paesi con una regolamentazione ambientale carente: innanzitutto, il problema della concorrenza nell’uso del suolo a fini alimentari e la questione dell’aumento dei prezzi delle materie prime, che possono essere usate sia per l’alimentazione umana o animale, che per la produzione di biocarburanti. Inoltre, l’origine della biomassa che entra nel ciclo di produzione del biocarburante può determinare altre conseguenze ambientali negative: ci si chiede che tipo di coltivazione è stata effettuata, con quali tecniche produttive e soprattutto cosa c’era prima sul terreno.

Biocarburanti “obbligatori” e sostenibilità ambientale

Per far luce in questo mare di biomasse e oli, la Commissione europea ha emanato una Direttiva, la cosiddetta “ RED”, n. 28/2009, che pone due principi fondamentali per poter distinguere biocarburanti ambientalmente sostenibili e non: la sostenibilità e la tracciabilità.

La sostenibilità è definita attraverso alcuni elementi e caratteristiche che, pur non essendo esaustivi di tutte le sfumature etiche dell’utilizzo dei biocarburanti, certo vanno ad arginare molte delle maggiori problematiche: innanzitutto, si deve dimostrare da dove vengono le coltivazioni, per evitare che i terreni siano derivati da foreste, zone protette o ad alta biodiversità. Inoltre, si deve dimostrare che grazie al biodiesel o al biocarburante si realizzi una effettiva riduzione minima delle emissioni di gas serra rispetto all’equivalente carburante di origine fossile. Nel calcolo dell’ammontare di CO? associata rientrano sia le modalità di coltivazione che la distanza percorsa per trasportare il prodotto finale fino al consumatore. Dal 2013 la percentuale di riduzione minima di CO? da garantire è del 35%; salirà negli anni successivi, fino ad arrivare al 60% nel 2017.

Riguardo alla tracciabilità, la Direttiva introduce la necessità di documentare l’intera filiera di produzione: dal coltivatore, produttore di oli, produttore di biocarburanti, e trader; fino all’ultimo componente della catena, ovvero il fornitore al privato. Per l’applicazione della direttiva e la verifica dei requisiti, la Commissione europea ha approvato alcuni schemi di certificazione volontaria, verificati da enti di certificazione accreditati: ogni stadio della produzione e distribuzione deve quindi essere certificato, in modo da fornire i documenti di provenienza e sostenibilità che accompagnano tutta la filiera. Attualmente gli schemi di certificazione volontaria approvati sono 14; in Europa i due più applicati sono il 2BSvs e l’ISCC EU.

In attuazione della Direttiva europea sopranominata “20-20-20”, entro il 2020 il 10% dei carburanti utilizzati nell’Unione europea dovrà provenire da fonte rinnovabile: la produzione europea di biocarburante liquido necessaria per raggiungere il target al 2020 sarà di 28,9-29,6 MTOE (fonte: Commissione Europa, Impact Assessment related to requirements of Article 3.4 of Directive 2009/28/EC, 2012). Anche in Italia vige l’obbligo, per i fornitori di benzina e gasolio, di immettere in consumo una percentuale crescente di carburante classificato come bio. Nel 2013 questa quota è del 4,5%, calcolato in base al potere calorifico contenuti nella benzina e nel gasolio venduto nel 2012. La quota percentuale salirà nei prossimi anni, fino a raggiungere il 5% nel 2014. Come strumento per verificare il rispetto del minimo di legge, sono stati istituiti i “Certificati di Immissione in Consumo di biocarburanti”: sono titoli, emessi dal Ministero per lo Sviluppo Economico, attestanti l’immissione al consumo di 10 Gcal. Per assolvere l’obbligo, i fornitori possono quindi acquistare i titoli corrispondenti.

Dal 1 gennaio 2012 i fornitori italiani di carburante hanno un obbligo aggiuntivo: per poter essere contabilizzati come nell’obbligo, è necessario comprovare la sostenibilità della filiera di produzione, secondo quanto stabilito dal sistema di certificazione nazionale della sostenibilità dei biocarburanti e dei bioliquidi introdotto dal Decreto del Ministero dell’Ambiente del 23 gennaio 2012. Sono quindi i fornitori, l’ultimo anello della catena, a dover presentare la documentazione, che conterrà informazioni su tutta la filiera di produzione. In considerazione della diminuzione di impatto ambientale derivante dalla riduzione di rifiuti e residui, il biocarburante prodotto con oli fritti e altri materiali di scarto dell’agricoltura vengono contabilizzati come doppi, dando origine a un vantaggio anche economico al loro utilizzo. ?

Le certificazioni in Europa

La certificazione francese 2BSvs
Il 2BSvs (Biomass Biofuels voluntary scheme) è uno schema creato da un consorzio di produttori agricoli francesi con la collaborazione di Bureau Veritas Francia. È uno degli schemi volontari di certificazione approvati dall’Unione europea. A certificarsi è tutta la filiera produttiva, dal produttore agricolo al produttore di biocarburante, fino ai trader.

L’ISCC EU, la certificazione tedesca
Anche l’ISCC EU (International Sustainability & Carbon Certification) è uno schema approvato dalla Commissione europea; è nato su iniziativa del governo tedesco. I requisiti richiesti sono quelli della Direttiva europea RED, al fine di permettere la distinzione tra prodotti sostenibili e non sul mercato.

Il sistema nazionale italiano
Il Decreto del Ministero dell’Ambiente del 23 gennaio 2012 ha istituito anche in Italia le norme per il sistema di certificazione nazionale della sostenibilità dei biocarburanti e dei bioliquidi. Il Decreto ricalca le norme contenute anche negli altri schemi volontari approvati dalla Commissione europea riguardo la sostenibilità e tracciabilità della filiera di produzione dei biocarburanti, ma con un sistema riconosciuto solo in Italia. Accredia si occupa dell’attività di accreditamento dei certificatori, secondo delle norme UNI CTI 11429 e UNI CTI 11435.

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