INQUINAMENTO
Il mondo affoga in un mare di plastica
Da mezzo secolo la produzione continua a crescere, ma non se ne recupera abbastanza. Milioni di tonnellate occupano le discariche e soffocano gli oceani
Nel 2013 la produzione di plastica a livello globale ha raggiunto i 299 milioni di tonnellate, con +4% su base annua: un trend positivo che dura da cinquant’anni. Certo, oggi si recupera e si ricicla sempre di più, ma non quanto si dovrebbe, e milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscono in discarica e nei mari: è quanto denuncia l’ultimo rapporto del Worldwatch Institute, “Global Plastic Production Rises, Recycling Lags”. La plastica ha progressivamente soppiantato altri materiali, come vetro o metallo, negli imballaggi, e oggi la sua diffusione è allarmante: mediamente, una persona che vive in Europa occidentale o in Nord America consuma cento chili di plastica all’anno; in Asia questa media scende a 20 chili procapite, ma ci si aspetta una rapida crescita legata allo sviluppo economico della regione.
Secondo l’Unep (il Programma ambientale dell’Onu), tra il 22 e il 43 per cento della plastica usata nel mondo arriva in discarica, dove, oltre ad occupare spazio e inquinare, disperde ogni suo potenziale come risorsa. Anche il riciclo ha però i suoi problemi: “Gran parte della plastica raccolta per il riciclaggio in Europa, Stati Uniti, Giappone e altri paesi industrializzati viene spedita in nazioni con standard di riciclaggio più bassi”, sottolinea Gaelle Gourmelon del Worldwatch Institute. Oltre la metà finisce in Cina, dove spesso la plastica usata viene lavorata in aziende a conduzione familiare con scarsi controlli ambientali, ad esempio sul corretto smaltimento di contaminanti e acque reflue.
Oltre ai rifiuti che finiscono in discarica, tra i 10 e i 20 milioni di tonnellate ogni anno finiscono in mare, dove si stima che attualmente galleggino 269 milioni di tonnellate di plastica. Le perdite economiche legate alla dispersione della plastica in mare sono stimate in circa 13 miliardi di dollari all’anno: il danneggiamento degli ecosistemi marini provoca infatti perdite finanziarie alle attività ittiche e turistiche, per non parlare delle spese dirette di ripulitura degli arenili. Molte specie marine sono gravemente minacciate dai detriti plastici, che possono anche essere scambiati per cibo e ingeriti, o provocare ferite e soffocamento. Inoltre sono un veicolo di spostamento di organismi alieni che sono in grado, come noto, di creare danno agli ecosistemi in cui si inseriscono.
Se sono innegabili i vantaggi di questo materiale leggero e durevole, bisogna però soppesarli con i rischi – avverte il documento – legati non solo al fine vita ma anche agli additivi tossici utilizzati in produzione, motivo per cui sempre più consumatori chiedono alternative ecosostenibili. Ogni anno il quattro per cento del petrolio usato nel mondo viene impiegato per produrre plastica, e un altro quattro per cento viene bruciato nel processo di produzione.
Ridurre lo spreco (ad esempio evitando di acquistare oggetti inutili), cercare materiali alternativi ecosostenibili e migliorare sul fronte del packaging per usare meno plastica sono alcune delle strade da seguire, secondo il Worldwatch Institute, che invita i cittadini a impegnarsi per un corretto recupero, le aziende a utilizzare maggiormente la plastica riciclata e le istituzioni a regolare la catena di approviggionamento incoraggiando il riciclo.
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L'autore
Stefania Marra
Stefania Marra, giornalista professionista dal 1994, è stata per circa dieci anni caporedattrice della rivista Modus vivendi. Dal 2005 gestisce il modulo pratico di giornalismo al Master di comunicazione ambientale (CTS/Facoltà di Scienze delle comunicazioni Università La Sapienza). Scrive soprattutto di storia sociale dell'alimentazione e di ambiente, settore per il quale ha ricevuto diversi premi giornalistici.
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