Green fashion
La moda che uccide l’ambiente
L’industria tessile adotta nella lavorazione e nei tessuti componenti tossici. La campagna Detox di Greenpeace e i consumatori stanno cambiando le cose
Quanto è astratto il termine “ecologia”? Uno stile di vita realmente attento all’ambiente non può non avere ripercussioni sulle scelte quotidiane del cittadino-consumatore. Scelte che, se ben indirizzate e condivise da gruppi numerosi, a loro volta si riflettono sui produttori, indirizzando le loro scelte verso pratiche più attente all’ambiente.
Se per l’alimentazione, l’energia, i trasporti la variabile ecologica prende sempre più peso, ancora molto c’è da fare in altri campi, come ad esempio quello dell’abbigliamento.
L’associazione internazionale Greenpeace ha lanciato una campagna globale contro gli inquinanti utilizzati nell’industria tessile. In un rapporto molto circostanziato, “Toxic Threads – The Fashion Big Stitch-Up”, denunciò 20 grandi catene di moda che vendono indumenti contaminati da sostanze chimiche pericolose che possono alterare il sistema ormonale o che, se rilasciate nell’ambiente, possono diventare cancerogene.
“In tutto il mondo si producono annualmente circa 80 miliardi di capi di abbigliamento, l’equivalente di poco più di 11 capi a persona. Un volume così elevato amplifica il costo umano e ambientale dei nostri vestiti, in ogni fase del loro ciclo di vita: quantità apparentemente piccole di sostanze chimiche pericolose, come i Npe (nonilfenoloetossilati – legalmente ammessi nell’abbigliamento) cumulandosi negli scarichi producono una diffusa contaminazione in tutto il Pianeta – si legge nel rapporto -. Il problema è aggravato dal fenomeno della “moda veloce”, che risponde alle richieste dei clienti sviluppando nuove collezioni con tempi sempre più brevi ma che implicano una notevole pressione sui fornitori per consegne con scadenze sempre più strette. Ciò incoraggia pratiche irresponsabili e l’utilizzo di scorciatoie, in termini di costi ambientali e del lavoro”.
La campagna “Detox” di Greenpeace chiede l’eliminazione entro il 2020 dell’uso di sostanze chimiche pericolose nella produzione del tessile e la loro sostituzione con alternative non impattanti.
La questione coinvolge anche “noi” consumatori, e non solo sul piano etico. Un’altra inchiesta di Greenpeace ha scoperto, infatti, che un’elevata percentuale di residui di Npe viene velocemente rilasciata dai vestiti in condizioni che simulano il normale lavaggio domestico e così questi veleni vengono diffusi ovunque.
È possibile che altre sostanze chimiche idrosolubili pericolose nei vestiti potrebbero essere dilavate in questo modo mentre altre sostanze pericolose come gli ftalati (contenuti spesso nelle stampe sui tessuti) verranno rilasciate a lungo dai prodotti nell’ambiente circostante, anche quando i vestiti finiranno tra i rifiuti, ad esempio in discarica.
In seguito alla pressione esercitata dalla campagna Detox e dal boicottaggio dei consumatori, molti marchi hanno preso l’impegno di eliminare progressivamente i componenti tossici dai propri prodotti.
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L'autore
Stefania Marra
Stefania Marra, giornalista professionista dal 1994, è stata per circa dieci anni caporedattrice della rivista Modus vivendi. Dal 2005 gestisce il modulo pratico di giornalismo al Master di comunicazione ambientale (CTS/Facoltà di Scienze delle comunicazioni Università La Sapienza). Scrive soprattutto di storia sociale dell'alimentazione e di ambiente, settore per il quale ha ricevuto diversi premi giornalistici.
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lidia maria palatiello
scrive il 27 novembre 2015 alle ore 15:23
buon giorno. Mi chiamo Lidia Palatiello e sono una compagna di università di Stefania Marra. Se possibile, potreste cortesemente comunicarLe la mia email, poiché i vecchi contatti telefonici non sono più operativi? Vi ringrazio per quanto potrete fare. Lidia Maria Palatiello. lm_palatiello@libero.it