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Green marketing. Green technology. Green business. | Tekneco

Green marketing. Green technology. Green business.

Da fenomeno di nicchia degli anni 80, a moda di tendenza negli anni ‘90, l’ambientalismo è diventato oggi un business a tutti gli effetti.

Scritto da il 14 giugno 2011 alle 10:00 | 4 Commenti

Green marketing. Green technology. Green business.

Da fenomeno di nicchia degli anni ’80, a moda di tendenza negli anni ‘90, l’ambientalismo è diventato oggi un business a tutti gli effetti.

Tra aziende che si verniciano di verde (green washing) e aziende che nella conversione verso una riduzione dell’impronta ecologica ci credono davvero, noi consumatori siamo chiamati a dare il nostro contributo attivo a premiare chi fa sul serio e a punire chi soltanto cerca di rifarsi una reputazione. Non è facile, ma è su questo terreno che si misura lo sviluppo della green economy e forse qualcosa ancora più avanti, di un altro colore.

Pur nel provincialismo tutto italiano, la comunicazione delle caratteristiche sostenibili di un prodotto, di un servizio, di una azienda, crescono in volume rispetto ai semplici valori di qualità, novità o innovazione in senso ampio. L’Italia segue una tendenza globale, nata paradossalmente negli USA e molto in voga in Europa nel Regno Unito. Non è strano, ad esempio, imbattersi in un manifesto di una nuova auto nella metropolitana di Londra e vedere promosso bene in evidenza la quantità di grammi per km percorsi di anidride carbonica. Negli Stati Uniti la comunicazione delle qualità ambientali di un prodotto è così diffusa e così selvaggia da aver spinto la Federal Trade Commission, equivalente della nostra Autorità Antitrust, a redigere alcune linee guida per la corretta comunicazione di proprietà favorevoli all’ambiente di un prodotto (Green Guides) all’interno di un messaggio promozionale. Il testo, attualmente in fase finale di approvazione, vuole tutelare il consumatore rispetto a qualità propagandate, spesso di difficile (o impossibile) dimostrazione. Un buon esempio che anche il nostro regolatore dovrebbe seguire quanto prima. Da utenti consumatori possiamo fare molto, a cominciare dalla decodifica dei messaggi che ci vengono proposti dal mercato e dal consumo sempre critico, chiedendoci sempre se le performance ambientali di ciò che stiamo comprando mostrino almeno un’attenzione al problema (della minore produzione di rifiuti, del risparmio energetico, degli imballaggi, della presenza di sostanze tossiche). A questo proposito vengono in aiuto guide al consumo critico e indicatori di sostenibilità, come l’eco guida di Greenpeace per le aziende del settore tecnologico. Uno stimolo per i consumatori a considerare un parametro in più nelle decisioni di acquisto e uno stimolo alle aziende per migliorarsi e diventare leader nel proprio settore.

Dal punto di vista di chi fa impresa, piccola o grande che sia, soprattutto con ambizioni internazionali, sforzarsi di migliorare i propri parametri ambientali – consumo di risorse, uso di sostanze tossiche o nocive, educazione al corretto uso – può fare la differenza per emergere in un mercato sempre più competitivo. Va da sè, inoltre, che chi può dimostrare buone performance verso la sostenibilità può proporsi al mercato con un marketing che faccia leva su tali fattori, soprattutto sui mercati più ricchi ed evoluti. Good to Green è una buona guida per riposizionare il proprio business, valutando con attenzione rischi e opportunità nell’era della consapevolezza ambientale. Improvvisare o barare non paga: il rischio di compromettere la propria immagine con un passo falso, con un consumatore sempre più connesso grazie ai social network, può costare molto caro. Comportarsi bene fa bene al business.


Commenti

Ci sono 4 commenti.

  • Ai@ce
    scrive il 14 giugno 2011 alle ore 11:46

    Bravo Luca, sempre attento alle tendenze ed alle trasformazioni della comunicazione anche in campo ambientale. Però penso che quanto tu dici valga per chi produce beni che vanno al consumatore finale ma non mi sembra sia calzante per tutto il b2b dove i social network arrivano poco (per ora). Ad esempio l'acciaieria o la fonderia che vogliono fare efficienza energetica lo fanno solo per un piccolo conto economico (rispetto al totale).

  • Ai@ce
    scrive il 14 giugno 2011 alle ore 12:13

    preso da un post di Elisa Wood su http://www.realenergywriters.com/ Guy Kawasaki, a VC and author of Enchantment: The Art of Changing Hearts, Minds, and Actions. Kawasaki talked about the kind of customer service and marketing that makes a business ‘enchanting.’ One word of advice, he said, is that builders should stop marketing themselves as ‘green.’ Why? Because being green, he said, is no longer a service that is above and beyond customer expectations. Its commonplace; the perception is that every builder is green or at least should be. (Note that he lives in California.)

  • Luca Conti
    scrive il 20 giugno 2011 alle ore 22:29

    Il B2B interviene meno, ma diventando sempre più P2P, people to people, anch'esso sarà scosso dal fenomeno. E' solo questione di tempo.

  • Alessandro
    scrive il 07 luglio 2011 alle ore 09:58

    In questa direzione vorrei citare il catalogo di aziende "che nella conversione verso una riduzione dell’impronta ecologica ci credono davvero" di www.acquistiverdi.it che, inoltre, ha lo scopo di creare, come dici tu, "un consumatore sempre più connesso grazie ai social network". Direi che come consumatori siamo sempre più sulla buona strada per premiare quelle aziende seriamente green.

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L'autore

Luca Conti

Luca Conti, classe 1975, laureato in Scienze Ambientali apre il suo primo blog nel 2002. Da allora ha avviato uno studio del social web che lo ha portato a collaborare con Nova del Sole 24 Ore, Wired.it e altre testate. Ha scritto per Hoepli Fare Business con Facebook e Comunicare con Twitter, nella collana Web & Marketing 2.0 di cui è curatore. Aiuta le aziende a comunicare attraverso il Web 2.0 e dal 2007 ha collaborato con Rai News 24, Mediaset, Webank, Vodafone, Campari, Banca Etica, Vanksen Group, 90|10 e numerose altre PMI italiane. Esperto dell'evoluzione dei social network è stato intervistato da testate nazionali ed internazionali quali International Herald Tribune, Tg1, Tg3, Repubblica, Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, Panorama, L'Espresso, Time Magazine.


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