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Energia pulita dai rifiuti urbani: promesse e ritardi

La frazione organica può alimentare bioreattori: trasformare in oro i rifiuti. Ma pesa l'incertezza normativa. Per l'Italia è per ora un'occasione sprecata

Scritto da il 06 dicembre 2010 alle 8:28 | 2 Commenti

Energia pulita dai rifiuti urbani: promesse e ritardi

Le discariche stracolme riaprono l’emergenza rifiuti. Eppure gli scarti sono una ricchezza per la produzione di energia, valorizzata con attenzione in altre nazioni europee. In Italia, invece, il 45% dei rifiuti arriva nelle discariche, ricordano le analisi dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale: il costo per i servizi di igiene urbana arriva a 7,8 miliardi di euro.

Ma la raccolta differenziata consente di separare la frazione organica: ammonta in media al 30% in peso. È il materiale di base per gli impianti di biogas, dove il metano viene generato dalla fermentazione degli scarti, associato con l’anidride carbonica: diventa utilizzabile per il riscaldamento e la produzione di energia elettrica. Da 20-25mila tonnellate di frazione organica dei rifiuti solidi urbani (rsu) si ricava 1 Mw. A sottolineare le potenzialità del settore è anche l’ultimo rapporto di Fise, la Federazione imprese di servizi, che prevede un incremento da 2,5 milioni di tonnellate a 4,5 milioni di tonnellate della frazione organica compostabile (umido e verde) nel 2020: un obiettivo da raggiungere con l’estensione della diffusione della raccolta differenziata nelle regioni dove è poco sviluppata come Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia.

Alcune utility locali già impegnate nella gestione degli rsu puntano su strutture per produrre biometano: TerniGreen e AsmTerni hanno investito 8 milioni di euro per ricavare compost dai materiali organici degli scarti: destineranno, inoltre, 15mila tonnellate al biogas. Da anni, invece, Ecodeco fondata da Giuseppe Natta (figlio del premio Nobel per la chimica, Giulio Natta) ricava metano dalle discariche. In particolare, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono le regioni che hanno esperienze decennali nella valorizzazione degli scarti derivanti dalla filiera agroindustriale: si tratta di materiali, però, che in genere hanno una minore efficienza nella resa di metano rispetto ai rifiuti solidi urbani. Di recente, per esempio, Inalca Jbs (Gruppo Cremonini) ha speso 4,5 milioni di euro per un impianto in grado di utilizzare gli scarti della macellazione.

L’ultima frontiera tecnologica è nella generazione di biometano dalle acque reflue degli impianti di depurazione urbana: in Italia non sono ancora diffuse esperienze di rilievo, ma sono attive da tempo strutture nei paesi del Nord Europa (Svezia, Norvegia, Olanda). Qual è, allora, il freno? “Servono le decisioni politiche per competere in un quadro chiaro. Altrimenti le regole cambiano ogni due anni e non è possibile programmare gli investimenti”, osserva Pietro Colucci, presidente di Assoambiente.

Ma le strade che portano alla generazione di energia sono diverse. La metà degli pneumatici usati alimenta strutture per la termoutilizzazione, collegate per esempio con i cementifici. In particolare, il 26% non sembra arrivare nemmeno in discarica e ha una destinazione ignota. Inoltre, secondo il rapporto di Fise, è previsto un incremento del 4% annuo nel recupero energetico delle plastiche. E resta aperto il capitolo del car fluff, l’insieme degli scarti rimasti dalla vetture private di ruote, parti plastiche, vetri, carrozzeria e motori: sono piccole componenti (come cavetteria e imbottiture) che ammontano a 18mila tonnellate, ma non esistono in Italia impianti per ricavarne energia. Anzi, anche le strutture attrezzate per il riutilizzo del car fluff sul territorio nazionale sono poche.

Progetti all’avanguardia mirano alle discariche di terza generazione: sono bioreattori per la gestione dei rifiuti eccedenti (per esempio, le ecoballe) che prevedono la raccolta e l’interramento degli scarti “tal quale” (cioè così come sono stati ritirati dalle città) in apposite strutture per il metano. L’impianto è utilizzabile per 12-14 anni e alla fine viene svuotato, recuperando i materiali rimasti, come plastiche e metalli.


Commenti

Ci sono 2 commenti.

  • Giuseppe
    scrive il 07 dicembre 2010 alle ore 00:51

    Bioreattore, chiarimento, altrimenti sembrerebbe di parte: 1 - Il biogas quando brucia emette co2 come tutti gli altri combustibili 2 - La potenza dichiarata dura poco e man mano l'eficenza svanisce 3 - Il bioreattore dopo poco rimane una discarica come tutte le altre con del PVC o del PP che rimane a salvaguardarci le falde. Riassumendo: STRATTAGEMMA PER REALIZZARE UNA DISCARICA!!! Saluti! Giuseppe

  • COSIMO
    scrive il 28 gennaio 2011 alle ore 09:44

    A TELAVIV CON ARROW BIO FANNO PLASTICA, FERRO E UN COMPOSTO CHE MESSO IN GRANDI CONTENITORI FA BIOGAS CHE BRUCIANO PER FARE ENERGIA ELETTRICA. IL TERRICCIO CHE RESTA CHE NON INQUINA UN BEL NIENTE LO USANO PER L'AGRICOLTURA. GLIISRELIANI SI STANNO "MANGIANDO" LA VECCHIA DISCARICA CHIUSA E TRATTANO L'INTERA PRODUZIONE GIORNALIERA DI RIFIUTI. PERCHE' NON LO SI FA ANCHE IN ITALIA? IN LAZIO UN SINDACO TESTARDO DI CIVITAVECCHIA FINALMENTE HA OTTENUTO DI METTERE UN IMPIANTO CON L'ETICHETTA SPERIMENTALE (PER DIFFERENZE DI LEGISLAZIONE TRA EUROPA E ISRAELE) DAL GOVERNATORE POLVERINI. GLI ALTRI GOVERNATORI DORMONO?

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L'autore

Luca Dello Iacovo

Giornalista freelance, collabora con "Nòva-Il Sole 24 Ore". Segue l'evoluzione del mondo di internet e le frontiere della sostenibilità.


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