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Recupero & riciclo

Da rifiuti a risorse

La metamorfosi dei nostri scarti: come è cambiato il mercato dei rifiuti fra scelte ecologiste e crisi delle materie prime

Scritto da il 29 novembre 2012 alle 8:30 | 0 commenti

Da rifiuti a risorse

Articolo a firma di Gianni Parti pubblicato su Teckneco #9

Vediamola così. I rifiuti non esistono. Lo sa bene quella azienda che alleva tilapie in Honduras, diventata famosa dopo essere balzata agli onori della cronaca grazie a un articolo di Elisabeth Rosenthal sul New York Times. La tilapia è un pesce di scarso valore ma che cresce bene in acquacoltura ed è anche per questo che, congelato, gli statunitensi ne consumano circa 475 milioni di tonnellate all’anno.

Sia l’allevamento che la conservazione (è venduto per lo più in filetti congelati) creano un bel po’ di problemi, ma molti derivano dai rifiuti degli scarti di lavorazione. La Rosenthal, per capire meglio questo mercato, ha visitato uno dei più importanti impianti del mondo, appunto in Honduras.

Qui non si butta via niente: i filetti finiscono, ovviamente, sul mercato americano; la pelle è venduta in Thailandia per la fabbricazione di prodotti di bellezza; testa e scarti di carne vengono trasformati in farine o per estrarre olio di pesce. L’olio ottenuto viene distillato in biodiesel che viene utilizzato per i veicoli in uso presso l’impianto. Lo squame è venduto in Italia per le iniezioni di collagene («mi chiedo – scrive la giornalista –  se le donne italiane siano consapevoli dell’origine ittica delle loro labbra a canotto»).

Se ci fosse bisogno di dirlo, questo è uno di quei casi eclatanti dove ciò che per qualcuno è un rifiuto, per altri è una risorsa.

Prendiamo, per esempio, il mercato italiano. Secondo il Consorzio nazionale recupero imballaggi (Conai) il settore del riciclaggio dei rifiuti nel nostro Paese avrebbe ormai raggiunto un giro di affari stimato intorno ai 670 milioni di euro, con la creazione in dieci anni di 76 mila nuovi posti di lavoro, ed avendo evitato l’apertura di 325 nuove discariche.

Discariche come miniere

Anche il modo di intendere le discariche, quelle vecchie, quelle che già ci sono, sta cambiando. Alcuni le intendono ormai come vere e proprie miniere e in giro per il mondo, si lavora davvero a questa ipotesi, da sviluppare con le tecnologie più raffinate: si chiama “landfill mining”, lo scavo delle discariche per ricavarne materie prime. Man mano che cresce il prezzo delle materie prime, ciò che abbiamo gettato via per quarant’anni cambia valore, diventa oro da recuperare. A volte è letteralmente oro, come quello contenuto nei circuiti degli apparecchi elettronici.

Conviene? William Hogeland, docente di ingegneria ambientale all’università di Kalmar, in Svezia, la spiega così: «il valore di questa opzione dipende dalla situazione specifica: cosa c’è nella discarica, come si decide di scavare, come viene trattato il materiale che contiene, come vengono separate e commercializzate le diverse componenti. Le informazioni che abbiamo ricavato su quattordici discariche del Mar Baltico è che mettendo insieme i vantaggi economici ed ecologici, l’intera operazione equivale a diverse centinaia di miliardi di euro. Di queste discariche, una su cinque deve comunque essere chiusa o rimossa per i pericoli che rappresenta per le risorse idriche circostanti e per gli effetti negativi sull’atmosfera rappresentati dalle emissioni di CO2 e di metano».

Parente stretto del “landfill mining” è l’“urban mining”, ovvero l’estrazione di materie prime dai nostri rifiuti tecnologici.

Nelle settimane scorse se ne è discusso anche in Italia, in un convegno organizzato dall’Enea dal titolo “Tecnologie e strategie per una politica industriale sostenibile. Urban Mining e Riciclo delle materie prime. Una proposta per l’area metropolitana di Roma”. Sebbene sia stata la capitale ad essere al centro del dibattito, l’idea vale per qualunque altra città, d’Italia o del mondo, perché la carenza e il costo di materie prime è un problema ormai globale. Tanto per dare qualche dato: una semplice scheda a circuito stampato può contenere fino al 20% in peso di rame e fino a 250 grammi per tonnellata di oro. Percentuali non indifferenti se pensiamo che in natura una miniera d’oro può restituire appena da 1 a 10 grammi di oro su 1 tonnellata di materiale estratto, o il rame che più generosamente ne offre dai 50 ai 100 chili per tonnellata.

I RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) contengono rame, ferro, acciaio, mercurio, antimonio, berillio, gallio, germanio, niobio, tantalio e altri elementi di primaria importanza e di difficile reperimento.
Secondo il Rapporto di Sostenibilità 2011 di Ecodom, il Consorzio italiano per il recupero e riciclaggio degli elettrodomestici, nell’ultimo anno sono state trattate 86.711 tonnellate di RAEE, con una crescita del 6% rispetto al 2010. Da queste quantità sono state ricavate 56.250 tonnellate di ferro, 6.992 tonnellate di plastiche, 2.065 tonnellate di alluminio e 1.596 tonnellate di rame, per un totale di 74.272 tonnellate di materie prime seconde riciclate, cioè reinserite nei processi produttivi.

Un’Europa da riciclare

Riciclare nel nostro continente potrebbe essere presto una questione molto seria. Ormai una percentuale fra  il 20 e il 30% delle  materie prime che usiamo arriva da mercati non europei. Secondo  l’Agenzia europea per l’ambiente, che ha pubblicato pochi mesi lo studio “Material resources and waste — 2012 update”,  anche se l’Europa sta servendosi in maniera più efficiente delle risorse necessarie, purtroppo l’uso di materie prime in assoluto sta comunque crescendo. Solo nel 2011 abbiamo importato 1.600 milioni di tonnellate di materie prime (3,2 tonnellate a persona). Ovviamente i combustibili petrolio, carbone, gas, ecc.) rappresentano la parte più importante. In totale ogni cittadino europeo consuma quasi 15 tonnellate di materie prima a testa, di cui la gran parte viene accumulata in beni attraverso i processi economici, ma il resto diventano rifiuti solidi o emissioni inquinanti. Parliamo di qualcosa come 5 tonnellate di rifiuti solidi, compresi quelli pericolosi, pro capite. Per fortuna è cresciuto il riciclaggio che è quasi raddoppiato: i rifiuti urbani riciclati sono infatti passati dal 17% del 1995 al 38% e la percentuale degli imballaggi che viene riciclata è arrivata addirittura al 60%. Le intenzioni dell’Unione europea sono quelle di creare una “società del riciclo” come parte di una economia più verde che sia in grado di offrire, da un lato, efficienza nell’uso delle risorse e, dall’altro, certezza di accesso alle stesse.

«L’uso insostenibile delle risorse – ha spiegato Jacqueline McGlade, direttore esecutivo dell’Agenzia europea per l’ambiente – è un problema veramente globale e la vorace richiesta europea di materie prime si fa sentire in tutto il mondo. È indispensabile che l’Europa faccia un uso più efficiente sia delle materie prime che di quelle derivate dal riciclaggio dei rifiuti».

Parlano i compostatori

Rifiuti in umido

Fra tutte le tipologie di rifiuto che vengono raccolte l’umido è quello più raccolto. Nel 2011 ha rappresentato il 40% del totale, per complessivi di 4,5 milioni di tonnellate di materia trattata.

Secondo il Consorzio italiano compostatori (Cic) si stima che entro il 2020 si raggiungeranno i 6,5 milioni di tonnellate, 109 kg pro-capite (68 kg nel 2011). Il sistema conta oggi 257 impianti di compostaggio (65% al nord, 16% al centro e 19% al sud). «La raccolta differenziata e il compostaggio degli scarti umidi – spiega David Newman, direttore del Cic –  determinano ogni anno una riduzione della quantità di rifiuti in discarica pari a quella necessaria riempire l’intero Colosseo».

Negli impianti di compostaggio vengono prodotti in un anno 1.400.000 tonnellate di fertilizzanti organici. Il giro d’affari del settore è quantificabile in 390 milioni di euro all’anno, i lavoratori sono circa 3.000 (2.500 diretti e 500 l’indotto).

Cial

Tutto l’alluminio d’Italia

Nell’ultimo anno sono state riciclate 40.800 tonnellate di imballaggi in alluminio, pari al 60,7% dell’immesso sul mercato . Un risultato reso possibile grazie alla collaborazione dei cittadini e agli accordi stipulati fra CIAL (Consorzio nazionale per il recupero e il riciclo degli imballaggi in alluminio) e gli enti locali di riferimento. Sono infatti 5.500 i Comuni italiani in cui è attiva la raccolta differenziata dell’alluminio (circa il 70% del totale).
Secondo i dati del CIAL , il 53% dell’alluminio circolante in Italia proviene dal riciclo e i trend produttivi di alluminio riciclato confermano l’Italia al primo posto in Europa con oltre 927mila tonnellate di rottami trattati (considerando non  soltanto  gli  imballaggi)  pari  ad  oltre  il  53%  dell’utilizzo complessivo di alluminio grezzo.


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