Casseforti per l’anidride carbonica: al via un network europeo
Rilanciati i programmi per cattura e stoccaggio di CO2. Puntano sullo sviluppo tecnologico e la comunicazione alle comunità locali
Photo: Scottish center for carbon storage
È la prima rete europea a collegare progetti di cattura e stoccaggio per l’anidride carbonica: a lanciarla è stata la Commissione europea con il nome di Ccs network. L’obiettivo è ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera generate da impianti industriali ed energetici. Costruire una piattaforma comune facilita la condivisione di esperienze, la comunicazione sul territorio e lo scambio di know-how. Per portare sul mercato europeo le tecnologie entro dieci anni. Adesso è in fase di sviluppo un programma sperimentale per valutare una decina di impianti: sarà concluso nel 2015.
Dal 2007 ha ripreso slancio su scala europea e globale la ricerca sulle strutture di “carbon capture e storage” (cattura e stoccaggio di anidride carbonica) in ambito industriale. La CO2 viene separata da altri composti nei fumi, poi disidratata e compressa in forma liquida per ridurne il volume e facilitarne lo spostamento. È possibile riutilizzare una frazione esigua (circa un centesimo) dell’anidride carbonica per scopi produttivi, per esempio l’addizione alle bevande o impieghi nell’industria conserviera. Gran parte è destinata allo stoccaggio “onshore” oppure “offshore”, al di sotto dei fondali marini a profondità superiori agli 800 metri. In questo modo non contribuisce a incrementare l’effetto serra. In particolare, secondo il panel internazionale dell’Ipcc, sono le emissioni generate dalle attività umane (“antropiche”) che hanno determinato la maggior parte dell’aumento di C02 nell’atmosfera in epoca post-industriale. In media sono presenti 337 parti per milione di anidride carbonica, il 38% in più rispetto al periodo precedente alla rivoluzione industriale. E i fumi immessi dalle strutture industriali costituiscono alla maggior parte delle emissioni umane.
Dopo la cattura delll’anidride carbonica, sono due i mezzi per il trasporto: i serbatoi delle navi (adatti soprattutto alle lunghe distanze) e le condutture. Negli Stati Uniti, ad esempio, è stato costruito un “CO2dotto” di 2500 chilometri. L’ultimo passo è lo stoccaggio. Si tratta di tecnologie derivanti dall’esigenza di recuperare petrolio in zone dove il greggio non ha sufficiente pressione per risalire. I luoghi più adatti, infatti, sono vecchi giacimenti di oli e gas, oppure aree al di sotto dei fondali marini. In Italia sono state individuati due territori con caratteristiche geologiche adatte allo stoccaggio: l’area di avanfossa Padano-Adriatica e i bacini al largo dell’Adriatico.
Restano alcuni nodi da afforontare nello sviluppo dei sistemi di “carbon capture e storage”. Osserva Francesco Zarlenga (Enea), lead author dello Special Report IPCC su “Cattura e sequestro della CO2″, per la parte sui metodi ed i processi di confinamento geologico: “Siamo indietro di dieci anni, ma l’ostacolo principale è la comunicazione alle comunità sul territorio”. Il progetto europeo appena varato, infatti, ha come obiettivo anche la divulgazione presso gli abitanti delle aree che potrebbero ospitare impianti di Ccs. Inoltre esistono margini di miglioramento nella “capture”: l’80% dei costi, infatti, è legato alla fase di cattura della CO2. Si tratta di processi che sono analizzati da progetti di ricerca per incrementare l’efficienza. In Italia finora non sono stati stanziati fondi pubblici per sperimentazioni sui sistemi Ccs. Sono in corso sperimentazioni per applicazioni industriali dell’Eni e dell’Enel.
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Luca Dello Iacovo
Giornalista freelance, collabora con "Nòva-Il Sole 24 Ore". Segue l'evoluzione del mondo di internet e le frontiere della sostenibilità.
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Susan
scrive il 05 ottobre 2010 alle ore 12:48
UNA TRUFFA COLOSSALE Le certezze: -costo: 1 miliardo di euro per 300 MW -nessuna garanzia che i depositi tengano -si useranno soldi pubblici INDECENTE
ldi
scrive il 05 ottobre 2010 alle ore 14:17
Non è chiaro a cosa si riferisca la cifra di un miliardo di euro. I finanziamenti stanziati ammontano a circa 300 milioni di euro per un network europeo di progetti sulla cattura e lo stoccaggio di anidride carbonica. In Italia non esistono fondi pubblici per le iniziative di ccs. Sulla tenuta dei depositi, secondo gli esperti bisogna valutare a seconda dei progetti: in ogni caso, vengono utilizzati giacimenti che hanno già contenuto per secoli gas (anche co2) e oli. La maggior parte delle ricerche, comunque, sono concentrate sulla sicurezza e sulla riduzione dei costi di capture. I (pochissimi) progetti sperimentali in Italia sono finanziati da privati. E' facile sparare cifre e titoli a effetto.
lachnantes
scrive il 12 ottobre 2010 alle ore 16:24
Ho sempre creduto che il sistema migliore per ridurre la CO2 fosse la forestazione,con i vantaggi del miglioramento del clima e stabilizzazione del suolo.Le innovazioni vanno fatte in sinergia con la natura,in alternativa, per riparare un problema a costi esorbitanti ne creiamo altri forse irreparabili.Quando si propongono strane ricette ,dietro c'è solo business.