pesca illegale
Bloccate le importazioni di pesce dallo Sri Lanka
Il paese asiatico, già ammonito dalla Commissione europea per pesca illegale, non si è messo in regola. Rientrata l’allerta per altri quattro Stati
Dopo quattro anni di trattative infruttuose, la Commissione europea propone il bando delle importazioni di pesce dalla Sri Lanka. Erano cinque i paesi ammoniti nel novembre del 2012 per i loro rapporti con i canali di pesca illegale; Belize, Fiji, Panama, Togo e Vanuatu hanno mostrato di impegnarsi per risolvere il problema, con l’introduzione di una nuova legislazione in materia, miglioramenti apportati al monitoraggio e al controllo delle attività di pesca. A seguito di queste azioni, la Commissione ha proposto di annullare le restrizioni commerciali adottate a marzo di quest’anno contro il Belize.
Secondo la valutazione della Commissione, lo Sri Lanka al contrario non ha affrontato adeguatamente le carenze nel sistema di controllo della pesca segnalate. Tra i principali punti deboli, un’applicazione inefficace delle misure di controllo, la mancanza di sanzioni che fungano da deterrente per la flotta di alto mare nonché l’inottemperanza delle norme internazionali e regionali nel settore ittico. Di conseguenza, la Commissione prospetta un divieto di importazione nell’Ue dei prodotti della pesca catturati da pescherecci dello Sri Lanka. Per non compromettere gli accordi commerciali in corso, l’insieme delle misure commerciali entrerà in vigore a metà gennaio 2015, ossia tre mesi dopo la pubblicazione della decisione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Il blocco non sarà una misura trascurabile: Nel 2013, l’Unione europea ha importato 7.400 tonnellate di pesce provenienti dallo Sri Lanka, per un valore totale di 74 milioni di euro.
Secondo le stime, il pesce catturato illegalmente nel mondo ogni anno oscillerebbe tra gli 11 e i 26 milioni di tonnellate, per un valore complessivo di circa 10 miliardi di euro. Ciò rappresenta come minimo il 15% del totale catturato. La pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (Inn) provoca il depauperamento degli stock ittici, distrugge gli habitat marini, crea distorsioni nella concorrenza, pone in una condizione di svantaggio i pescatori onesti e indebolisce le comunità costiere, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
L’Ue è impegnata ad eliminare le scappatoie che permettono agli operatori illegali di trarre vantaggio dalle loro attività, e nel 2010 ha introdotto una normativa per impedire la vendita in Europa di pesce catturato illegalmente. Ciò ha comportato indagini sulle imbarcazioni sospettate di attività di pesca illegali, rifiuto di talune importazioni e collaborazione con paesi al di fuori dell’Ue per migliorare i controlli. L’origine e la conformità alle norme dei prodotti ittici oggetto di scambi commerciali da e verso il territorio dell’Unione europea devono essere certificati: solo i prodotti della pesca in mare dichiarati legali dallo Stato di bandiera competente o dal paese esportatore possono essere importati nell’Unione o da essa esportati.
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L'autore
Stefania Marra
Stefania Marra, giornalista professionista dal 1994, è stata per circa dieci anni caporedattrice della rivista Modus vivendi. Dal 2005 gestisce il modulo pratico di giornalismo al Master di comunicazione ambientale (CTS/Facoltà di Scienze delle comunicazioni Università La Sapienza). Scrive soprattutto di storia sociale dell'alimentazione e di ambiente, settore per il quale ha ricevuto diversi premi giornalistici.
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