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Numero uno | Tekneco
copertina tekneco n. 1

Tekneco #1

Le fondamenta, prima di tutto. Dalle fondamenta cominciare a costruire un palazzo: è vero per una regione, per un nuovo mercato, come per una rivista. Se conosci le tue basi, le puoi rafforzare e poi intraprendere l’ascesa: ecco perché abbiamo voluto studiare la vera situazione del mercato pugliese nelle rinnovabili. “Il primato della Puglia nel fotovoltaico”, si legge spesso. Ma fino a che punto è verità o proclama è vero, ma abbiamo appurato anche il primato pugliese nell’eolico, mercato più maturo e quindi, nell’immediato, più interessante. Nelle biomasse potremmo fare di più. Ma soprattutto potrebbero fare di più le istituzioni. “Leggi e burocrazia ostacolano lo sviluppo”: questa è stata la voce comune degli imprenditori pugliesi. Le fondamenta sono buone, insomma. Ma serve qualche puntello qua e là per andare avanti e in alto. C’è di buono che il dibattito politico ha i riflettori puntati sulla questione: Tekneco ha potuto raccogliere repliche e reazioni bipartizan a quanto lamentato dagli imprenditori. Speriamo che la vita di questa rivista sia abbastanza lunga per salutare il giorno in cui le istituzioni e le imprese pugliesi raggiungeranno un rapporto meno conflittuale. Nel frattempo, noi proseguiamo l’avventura: parlando di mercato, di innovazioni, di idee. Servono anche queste, per disegnare il futuro.

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La bonifica dell’amianto si allea con le energie rinnovabili. Si moltiplicano in Italia i progetti per rimuovere le coperture in eternit di capannoni industriali e installare sui tetti bonificati un campo di pannelli fotovoltaici, grazie agli incentivi previsti dal Conto Energia. E si sperimentano già tecniche per riutilizzare l’amianto dopo averlo trasformato in materiale green.

Lecce, per esempio, è la prima provincia ad aderire all’iniziativa “Eternit free”, coordinata da Legambiente e AzzeroCO2, in collaborazione con Confindustria e Confartigianato locali. I proprietari di capannoni industriali possono rimuovere le onduline in cemento-amianto senza spese: attraverso l’accordo con partner finanziari (ad esempio, società di investimento private), AzzeroCO2 gestisce la rimozione dell’eternit e l’installazione di moduli solari sulle superfici recuperate. L’intera operazione è ripagata nel tempo dall’energia prodotta con i moduli fotovoltaici e rivenduta al gestore elettrico nazionale con le tariffe incentivanti del Conto Energia. In alternativa, i proprietari degli edifici industriali possono pagare in proprio il passaggio al fotovoltaico. “Nella prima settimana dall’annuncio del progetto ‘Eternit Free’ sono arrivate domande per 30mila metri quadrati di superfici”, osserva Sergio Scollato, responsabile di AzzeroCO2. Secondo le stime delle associazioni ambientaliste nella provincia di Lecce sono 250mila i metri quadrati che potrebbero essere rimossi: sono in grado di generare 25 Megawatt. Per adesso l’iniziativa coinvolge altre due province pugliesi, Bari e Barletta-Andria-Trani. E raccoglie consensi altrove lungo la penisola, nelle province piemontesi (Torino, Alessandria, Vercelli), a Roma e Grosseto.


Rifiuti abbandonati, coperture in eternit sul territorio italiano


Prova sul campo
Può funzionare? La bonifica dell’asbesto associata con l’installazione dei pannelli solari è già stata sperimentata dopo l’introduzione del Conto Energia, con ricadute positive sull’indotto di aziende locali impegnate nella sostenibilità. A Firenze e provincia, per esempio, Casa Spa gestisce 12mila edifici residenziali pubblici. Grazie a un accordo con gli enti locali, ha rimosso 10mila metri quadrati di eternit, senza costi per gli abitanti degli appartamenti. Poi ha installato i moduli fotovoltaici: in un anno ha prodotto circa un Megawatt. Il risparmio in termini di emissioni di anidride carbonica ha raggiunto 520 milioni di tonnellate di Co2 (che altrimenti sarebbe stata immessa nell’ambiente). L’energia generata viene venduta interamente al gestore della rete elettrica: ripaga un mutuo ventennale che ha finanziato l’intervento ecologico. “La parte più complessa è stata il coordinamento delle aziende intervenute per i lavori”, spiega Dimitri Celli, ingegnere di Casa Spa che ha seguito il progetto. Alcuni enti locali adesso premono sull’acceleratore. La Regione Lombardia ha stretto un accordo con la provincia di Cremona per uno stanziamento da 200mila euro destinato allo “scambio” eternit-fotovoltaico. Entro il 2015 la Lombardia vuole diventare una Regione “Amianto free”.

La strada da fare è lunga. Secondo le stime più caute del Cnr e dell’Ispesl in Italia sono presenti sul territorio almeno 32 milioni di tonnellate di asbesto da bonificare e stoccare in discariche per rifiuti speciali. Secondo i dati raccolti in undici Regioni l’amianto è presente in circa 50 mila edifici pubblici e privati: sono invece circa 100 milioni i metri quadrati di strutture in fibrocemento. Finora tredici Regioni hanno censito direttamente sul territorio i luoghi a rischio. E nove hanno impianti attrezzate per lo stoccaggio del rifiuto pericoloso, ma sono in via di esaurimento: Friuli Venezia Giulia, Lombardia (riempita l’anno scorso), Abruzzo (in istruttoria per la riapertura), Emilia-Romagna, Liguria, Basilicata, Piemonte, Toscana, Sardegna.

Riutilizzo ecologico dell’amianto

Ma il conferimento in discarica non è l’ultimo passo. Sotterrare sacchi colmi di materiali pericolosi è una scelta provvisoria in attesa di sviluppare soluzioni tecnologiche per il recupero ecologico. Sono in corso sperimentazioni per inertizzare l’asbesto in modo da eliminare la volatilità delle fibre, dannose per la salute: di conseguenza, può essere reintrodotto in processi produttivi per la bioedilizia, senza aggiungere ulteriori emissioni di anidride carbonica equivalente. La ricerca scientifica dei laboratori e delle aziende prosegue, ma incontra l’opposizione dei gruppi di abitanti sul territorio locale, sulla scia delle proteste ‘nimby’ (dall’inglese “not in my backyard”, “non nel mio cortile”). A Brescia, per esempio, la Aspireco ha brevettato un processo per trasformare l’amianto crisotilo fibroso (di gran lunga il più utilizzato nel settore edilizio) in silicati non fibrosi e inerti (come la fosterite). La procedura prevede che l’asbesto sia sottoposto ad azione termica all’interno di un forno con temperature fino a cinquecento gradi. Aspireco prevedeva di aprire un impianto per il trattamento di 240mila tonnellate annue, ma di recente la comunità locale attraverso associazioni civiche ha espresso un parere negativo e l’azienda ha fatto marcia indietro. A Varese la Zetadi sta studiando in collaborazione con l’università di Modena e Reggio Emilia un progetto per produrre piastrelle a partire dai residui di amianto con un trattamento ad alta temperatura (circa 900 gradi). Ma i residenti dell’area interessata alla costruzione dello stabilimento hanno sollevato perplessità. Il percorso per il recupero dell’asbesto nella bioedilizia deve superare ostacoli tecnologici ma, soprattutto, il dialogo con le comunità locali.

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