eolico industriale
Le paure che le grosse pale portano con sé
I danni all’avifauna spaventano gli ambientalisti che chiedono regole certe e analisi di impatto ambientale precise per ogni sito destinato ad accogliere un impianto eolico
Photo: flickr.com - pitzyper
In Italia la diffusione degli impianti eolici industriali è in crescita ha raggiunto nel 2010 una potenza installata pari a 5.757 Mw e una produzione di 8.400 GWh (dati Anev-Terna). Nonostante i buoni risultati, tuttavia, non si placa la querelle fra detrattori e sostenitori dell’eolico. «Tutti dovrebbero cercare di mantenere il discorso sotto un profilo tecnico – spiega Tommaso Campedelli, consulente in ambito zoologico - e questo è vero sia per gli ambientalisti che, a volte, appena c’è una pala eolica iniziano a parlare di sterminio, sia per gli imprenditori che, in genere, tendono a ridimensionare i potenziali impatti, e sia per coloro che vedono le energie pulite come qualcosa da fare sempre e comunque. Serve una maggiore regolamentazione o l’eolico rischia di diventare un problema». Tutti però continuano a ritenerlo una risorsa, purché che ci siano rigorose valutazioni di impatto ambientale. «Gli impianti eolici industriali hanno un impatto sulla fauna – sostiene Sara Bragonzi, content e community manager di Wwf Italia – e per questo il Wwf Italia ritiene realizzabile l’insediamento di impianti eolici, nelle aree non precluse, solo in presenza di un’analisi degli impatti sulla biodiversità di quel particolare impianto, redatto in maniera rigorosa e approvato da un organo competente e autorevole». Riempire la Penisola di pannelli fotovoltaici o impianti eolici solo perché non inquinano sarebbe quindi un grosso errore. «Anche per una fonte rinnovabile, sin dalla progettazione va considerato e minimizzato il potenziale impatto ambientale, in particolare sull’avifauna – sottolinea Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia -. Nel protocollo ambientale siglato con Anev, oltre a parchi, riserve e i Sic (siti di importanza comunitaria), si escludono anche le aree di nidificazione dei rapaci e i corridoi interessati da flussi di avifauna costanti».
Cosa non convince
«Gli studi per valutare gli impatti di un impianto eolico sull’avifauna, non possono essere standard – conviene Campedelli – perché devono tenere in considerazione lo specifico contesto territoriale e il tipo di impianto che si vuole installare ». Per muoversi esistono ovviamente delle linee guida generali. «È indispensabile condurre uno studio di campo considerando una superficie abbastanza ampia - spiega Bragonzi - da considerare eventuali variazioni nei comportamenti delle specie. È raccomandabile considerare un’area con un perimetro equidistante almeno 10 km lineari dagli impianti, considerando anche le infrastrutture collegate (strade di servizio o aree di manovra). Quindi l’unità minima da sottoporre a indagini ha una superficie di almeno 100 km quadrati». Lo stesso Campedelli commenta «Sarebbe importante avere delle basi univoche per avere un quadro di certezza e stabilire delle aree dove l’eolico è possibile e dove no. Se le regioni avessero uno strumento di questo tipo, tutto risulterebbe più semplice. I dati andrebbero poi pubblicati e fatti circolare, attraverso momenti di scambio con gli addetti ai lavori». Andrebbe in questa direzione la partenza, a giugno 2012, dell’Osservatorio nazionale su eolico e avifauna, che intende rafforzare la tutela dell’ambiente e lo sviluppo di impianti eolici nelle aree compatibili. Studi e ricerche verranno messi a disposizione di tutti per contribuire alla diffusione delle informazioni.
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L'autore
Anna Simone
Anna Simone è una Sociologa Ambientale e si occupa di tematiche ambientali dal punto di vista sociale e culturale, contestualizzando quello che succede al posto in cui è successo per comprenderlo, analizzarlo e spiegarlo. È autrice del blog Ecospiragli.
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