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Nuove opportunità per le bioenergie italiane | Tekneco

Tekneco #17 - Primo piano

Nuove opportunità per le bioenergie italiane

L’approvazione è arrivata lo scorso agosto dalla Conferenza Stato Regioni. Il documento segnala grandi potenzialità, ma anche molti limiti

Scritto da il 03 ottobre 2014 alle 12:32 | 0 commenti

Nuove opportunità per le bioenergie italiane

Quando si parla e si scrive di energie rinnovabili l’attenzione è quasi sempre con- centrata sulle tecnologie più diffuse e, soprattutto, più note alla maggioranza delle persone comuni, ossia eolico e fotovoltaico. Eppure c’è una grande famiglia di risorse rinnovabili che sinora ha fornito soltanto parzialmente il suo contributo alla rivoluzione energetica green: stiamo parlando delle bioenergie. Ma qualcosa potrebbe presto cambiare, grazie alla promulgazione del Piano di settore per le bioenergie, approvato lo scorso agosto dalla Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano e salutato con soddisfazione dalle principali associazioni di categoria. Il Piano ha lo scopo di sintetizzare i punti di forza e debolezza delle filiere bioenergetiche, le strategie, gli obiettivi per il futuro, le minacce, le opportunità e i risvolti economici, nonché di definire strategie condivise e individuare possibili interventi con efficaci e idonee politiche legislative, economiche e commerciali a medio e lungo termine. Il documento prende le mosse dalla situazione energetica di partenza del nostro Paese che, come l’intera Europa, è resa vulnerabile da una serie di fattori, quali la forte dipendenza da fonti fossili d’importazione (gas, petrolio e carbone), l’elevata volatilità del prezzo del greggio e degli altri combustibili fossili a esso collegati, l’instabilità politica e istituzionale nei Paesi esportatori (la crisi ucraina insegna). Dunque, oltre agli aspetti squisitamente ambientali, puntare sulle risorse rinnovabili è doveroso anche economicamente. Le bioenergie, in particolare, possono giocare un ruolo strategico nella diversificazione delle fonti, ma non solo. Anche lo stretto legame con il mondo agricolo rappresenta un valore aggiunto, secondo quanto si può leggere nel Piano: “La produzione di energia dalle biomasse può dare un grande contributo al miglioramento delle emergenze ambientali nel nostro Paese e dell’Europa in genere, e favorire lo sviluppo di un’agricoltura concretamente multifunzionale, ovvero che, a integrazione della produzione di alimenti, vengano attivate filiere per la produzione di energia e/o per la protezione e la tutela ambientale, utilizzando, a fini produttivi, gli scarti agricoli, i residui dell’industria agro- alimentare, i reflui agro-zootecnici, ecc”. Eppure la bioenergia, ancor più delle altre rinnovabili, può destare timori e resistenze da parte della popolazione a causa della confusione che si genera per l’ampia varietà dei sistemi (risorse, processi e tecnologie) che la caratterizzano. La conferma arriva dall’VIII rapporto dell’Osservatorio Permanente del Nimby (Not In My BackYard), che evidenzia come in Italia nel 2012 ben 108 contestazioni (su un totale di 172 casi di progetti da fonti rinnovabili) abbiano interessato proprio gli impianti a biomasse (incluso il biogas). I numerosi “no” alle filiere della bioenergia, tra l’altro, colpiscono in maniera trasversale qualsiasi tipo di realizzazione, piccola o grande che sia, integrata con il territorio o meno. Insomma, le bioenergie spesso spaventano le popolazioni locali. Esiste sicuramente un problema di scarsa conoscenza: come osservavamo all’inizio, spesso manca la consapevolezza di come questi impianti, se realizzati seguendo i necessari criteri di sostenibilità, nel rispetto delle disposizioni vigenti e delle linee guida nazionali e delle relative disposizioni regionali di attuazione, possano dare un fondamentale contributo non solo a centrare gli obiettivi energetici e di contenimento delle emissioni climalteranti stabiliti a livello nazionale ed europeo, ma anche alla valorizzazione del territorio e al rafforzamento del suo tessuto economico, produttivo e sociale. Non è però soltanto la sindrome Nimby a frenare le potenzialità delle bioenergie nel nostro Paese: le ragioni sono tante e puntualmente riassunte dal Piano nazionale. Innanzitutto il settore deve fare i conti con una limitata diffusione delle conoscenze a livello scientifico e tecnico e una carenza di idonea progettualità di filiera a livello territoriale, in buona sostanza con un problema di formazione interna. Ci sono, naturalmente, anche difficoltà di accesso al credito e scarsa disponibilità finanziaria per gli investimenti nei progetti. A livello normativo, invece, le bioenergie pagano la mancata attuazione (o gravi ritardi) di provvedimenti già varati negli scorsi anni, nonché la sottovalutazione (o assenza) del comparto all’interno della programmazione energetica regionale, anche per la carenza di un quadro conoscitivo di base sufficientemente approfondito in termini di potenzialità della risorsa e dei suoi possibili impieghi. Inoltre, le incongruenze e le lacune nella legislazione sui rifiuti (Testo Unico Ambientale e successive modifiche e integrazioni) e sui fertilizzanti causano spesso equivoci e interpretazioni contrastanti sulla natura di alcune biomasse residuali (es. potature del verde urbano) e/o dei prodotti finali dei processi di conversione (digestato, ecc.). Come se non bastasse, all’interno del settore c’è spesso una insufficiente attenzione verso le opportunità offerte da nuovi sbocchi di mercato, quali il biometano per i trasporti e la produzione per il mercato termico di biocombustibili solidi di qualità certificata come pellet, cippato, ecc. A tutto questo si aggiunge una notevole frammentazione e la mancanza di un efficace coordinamento dei programmi e delle attività di ricerca e sviluppo nel settore specifico, che si traducono in una scarsa incisività e in un insufficiente trasferimento, agli operatori economici potenzialmente interessati, delle innovazioni e miglioramenti tecnologici. Insomma, c’è molto da fare e, infatti, il Piano prova a fornire delle risposte. La più importante, come abbiamo scritto più volte in passato (vedi Tekneco numero 12), è quella della filiera corta: “La produzione di biomasse a destinazione energetica deve guardare prioritariamente, in una condizione come quella italiana, al recupero e alla valorizzazione degli scarti e residui colturali, zootecnici e della lavorazione dei prodotti agroalimentari. In seconda istanza possono essere utilizzate le colture dedicate, evitando in ogni caso di interferire negativamente con le produzioni alimentari e ottimizzando la gestione del patrimonio boschivo ampiamente sottoutilizzato” si legge nel documento. In buona sostanza, vista anche la progressiva decrescita degli incentivi alla produzione di elettricità, la bioenergia deve orientarsi sempre più verso il recupero e la valorizzazione degli scarti e residui colturali, zootecnici e della lavorazione dei prodotti agroalimentari. Tra l’altro, nel caso dei residui derivanti dalle ordinarie operazioni di taglio dei boschi, manutenzione degli alvei fluviali, ecc., la loro asportazione e impiego è una soluzione efficace nella prevenzione di altri fenomeni negativi come gli incendi, il deflusso incontrollato delle acque nei reticoli idrografici, ecc. Oltre alla filiera corta, è sempre auspicata, quando tecnicamente fattibile, la produzione di biometano da destinare ai trasporti. Quest’ultima rappresenta forse la famiglia di bioenergie che più incontra il favore del Piano nazionale, perché ritenuta capace di ridurre la storica dipendenza nazionale dal gas naturale di importazione e aiutare l’Italia a ottemperare agli obblighi europei in materia di energie rinnovabili nei trasporti.

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    L'autore

    Gianluigi Torchiani

    Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili


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