Trasporti
La Fao non boccia i biocarburanti
Secondo l’organizzazione delle Nazioni unite i biocombustibili presentano sia rischi che opportunità, anche se non devono compromettere la sicurezza alimentare
Il tema dell’impatto dei biocarburanti sulla catena alimentare è uno dei più sentiti in materia di energie alternative, come abbiamo scritto più volte in passato. Dopo anni di accuse da parte delle associazioni umanitarie e dure repliche da parte di quelle dei produttori, nei giorni scorsi è arrivata la presa di posizione di un importante soggetto neutrale, ossia il Committee on World Food Security (Cfs), un organismo strettamente legato alla Fao. La sorpresa è che non è arrivata una totale bocciatura dei biocarburanti, neppure di quelli di prima generazione (ricavati cioè da colture alimentari).
Basandosi sui risultati del rapporto degli esperti di sicurezza alimentare e nutrizione, il Cfs ha più prudentemente evidenziato che lo sviluppo dei biocombustibili presenta «sia opportunità che rischi dal punto di vista economico, sociale e ambientale», a seconda del contesto e delle pratiche. Il rischio più grosso, ovviamente, si ha nei casi in cui le colture di combustibili e quelle alimentari entrano in competizione per i terreni.
Qua la posizione del Cfs è chiara anche se non certo rivoluzionaria: lo sviluppo dei biocombustibili «non deve mai compromettere la sicurezza alimentare, e deve prendere in considerazione specialmente le donne ed i piccoli proprietari». Il Comitato ha sollecitato la Fao e le altre parti interessate ad aiutare i Paesi a rafforzare la loro capacità di valutare la situazione, tenendo sempre conto delle esigenze alimentari, che devono venire prima delle considerazioni sul profitto che può derivare dalla produzione di carburante. Insomma, quello del Cfs appare il classico compromesso destinato più che altro a rimandare la palla ai singoli Stati.
In questo senso nelle scorse settimane l’Europarlamento, dopo anni di discussione, ha posto un limite all’uso dei biocarburanti di prima generazione nell’Unione europea, cioè quelli prodotti da colture alimentari (come mais, colza, olio di palma). I combustibili bio ‘tradizionali’ non dovranno superare il 6% del consumo finale di energia nel settore dei trasporti entro il 2020, rispetto all’obiettivo del 10% della legislazione vigente, mentre è stato inserito un nuovo target del 2,5%, sempre per il 2020, per i biocarburanti di seconda generazione, quelli prodotti da alghe e rifiuti (su cui l’Italia sta puntando moltissimo).
Inutile dire che il provvedimento non soddisfa ambientalisti e associazioni umanitarie, secondo cui l’attuale media di miscelazione europea, pari al 4,5%, fa sì che vi sia un consistente margine per l’aumento del consumo di biocarburanti di prima generazione in Europa nei prossimi anni. «Con il suo voto per un 6% – spiegano ActionAid e Oxfam Italia - il Parlamento Europeo ha deciso oggi di destinare alla produzione di biocarburanti un quantitativo di prodotti agricoli capace di sfamare oltre 200 milioni di persone ».
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L'autore
Gianluigi Torchiani
Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili
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