Tekneco #15 - Analisi
Gli strateghi dei grandi impianti
Le installazioni intorno al MW di capacità, in assenza di incentivi, non risultano convenienti per gli investitori
Il fotovoltaico italiano è stato caratterizzato nei suoi tempi di massima espansione da un boom di grandi impianti, ossia pannelli installati a terra su enormi superfici. Con la fine del Conto energia, ormai, questo genere di installazioni non si vedono più, o meglio, in questi mesi si stanno concludendo gli ultimi allacci alla rete dei parchi solari rientrati nel Registro Grandi impianti del quinto Conto energia. Finita questa ultima fase, però, l’interesse degli investitori sembra destinato a svanire del tutto, insieme agli incentivi. Qual è la ragione? Oltre alla mancanza di sussidi in sé e alla presenza di mercati esteri più allettanti, ci sono vere e proprie ragioni di carattere economico-finanziario. Come spiega un’analisi di Giuseppe Artizzu, managing director di Cautha, il fotovoltaico su scala industriale, ormai, presenta un costo di generazione competitivo con quello del nucleare e dei cicli combinati a gas. Il problema è che, però, il prezzo all’ingrosso del MWh (grazie anche all’apporto decisivo dei tanti impianti da fonti rinnovabili costruiti negli ultimi anni) è decisamente al di sotto di questi valori. In altre parole: al momento non è conveniente costruire né impianti fotovoltaici di grande taglia né da fonti fossili. Come precisa anche l’ultimo Solar Energy Report del Politecnico di Milano, infatti, per le grandi centrali solari non è possibile raggiungere il livello considerato minimo di rendimento (8% annuo), anche con costi molto bassi di realizzazione (nell’ordine di 500 euro per kW, un valore attualmente ancora lontano). La sostenibilità delle grandi centrali solari, in assenza di incentivazione, può essere raggiunta soltanto in Regioni come Sicilia e Sardegna. A fare la differenza non è tanto il maggiore irraggiamento delle nostre due isole maggiori, quanto, piuttosto, il valore del prezzo medio zonale dell’energia elettrica, che in effetti nelle due regioni – per ragioni di carattere infrastrutturale – è storicamente più alto del resto d’Italia. Se questa differenza fosse nell’ordine di 10 euro al MWh e il costo degli impianti chiavi in mano restasse al di sotto degli 800 euro al kW, potrebbe esserci una convenienza teorica. Tuttavia, a causa degli sviluppi normativi e strutturali, è molto probabile che lo storico gap tra l’Italia e le due isole maggiori si riduca nel tempo, piuttosto che aumentare. Anche l’altro assunto su cui si basa la prospettiva di una convenienza futura di queste installazioni nel Sud Italia, ossia la crescita del prezzo dell’energia elettrica, appare al momento difficile (contrario tra l’altro all’obiettivo dichiarato dei vari Governi) e comunque legata a eventi su scala globale e poco facilmente controllabili. Eppure, secondo Artizzu, esistono delle possibilità future di sviluppo nel nostro Paese, in particolare legate alle grandi coperture industriali, magari puntando sul possibile accesso di questi impianti alla remunerazione prevista dal futuro capacity market (ossia il meccanismo che dal 2017 dovrebbe premiare il contributo dei grandi impianti alla stabilità delle rete elettrica nazionale). Più fattibili, tutto sommato, appaiono installazioni comunque grandi ma di più ridotte dimensioni. Sempre secondo il Politecnico di Milano, infatti, livelli di autoconsumo del 50% consentirebbero a impianti da 400 kW localizzati nel Sud Italia di raggiungere una condizione di grid parity già con gli attuali costi di installazione. Per impianti situati nel Centro Italia sarebbe invece necessaria un’ulteriore riduzione di costo, comunque non insormontabile.
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L'autore
Gianluigi Torchiani
Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili
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