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Bioetanolo, si lavora alla seconda generazione

Nel 2011 a Tortona arriverà il più importante impianto per produrre il carburante da coltivazioni non commestibili

Scritto da il 21 giugno 2011 alle 10:00 | 0 commenti

Bioetanolo, si lavora alla seconda generazione

L’Italia è all’avanguardia nella produzione di biocarburanti a base di bioetanolo di seconda generazione. È attivo infatti il progetto pilota di uno stabilimento a Tortona per produrre bioetanolo da coltivazioni non commestibili. L’idea è di Chemex – società del Gruppo Mossi & Ghisolfi – che vuole fare del basso Piemonte un’area guida a livello europeo.

Il Gruppo ha in progetto di realizzare entro il 2011 il più importante impianto al mondo di produzione di bioetanolo di seconda generazione in provincia di Vercelli. Una bioraffineria che avrà una capacità di 45.000 tonnellate/anno. Facciamo un passo indietro per vedere come si sia arrivati a questo. Oggi il mercato dell’energia da fonti bio copre solo il 10% del fabbisogno. I trasporti, responsabili del 25% delle immissioni di gas serra, dipendono per il 94% dal petrolio: la IEA (Agenzia internazionale dell’Energia) prevede che il 97% dei consumi petroliferi al 2030 sarà generato proprio dai trasporti e che il miglioramento dell’efficienza dei veicoli non compenserà gli effetti sull’ambiente, così come non potranno la diffusione di veicoli elettrici e plugin hybrid.

I biocarburanti (composti idrocarburici per autotrazione, prodotti da materie prime di origine vegetale o animale) sono pertanto l’unica soluzione con margini di successo. Ne esistono di due tipi: il biodiesel, miscelabile con il gasolio e producibile da oli di scarto, grassi animali e oli vegetali (palma, girasole e colza) e il bioetanolo, prodotto da materie prime vegetali e analogo alla benzina. C’è però un punto debole: la produzione di bioetanolo prevede l’uso come materia prima di prodotti agricoli destinati anche all’alimentazione come la canna da zucchero e il mais, costosi e non sempre reperi- bili (in Italia, ad esempio vengono importati).

Da qui la risposta di Chemex che produce bioetanolo con tecniche di seconda generazione da una materia prima proveniente da colture non alimentari, adatte a terreni marginali o incoltivabili, che richiedono quantitativi molto limitati di acqua e fertilizzanti, e assorbono in vita più CO2 di quanta ne rilasciano.

Come funziona? Quattro sono i passaggi: la destrutturazione delle fibre o pretrattamento (si sfibra a livello microscopico la biomassa separandola nelle componenti principali liberando la frazione di biomassa fermentabile). Poi c’è l’idrolisi (riduzione a zuccheri semplici dei polisaccaridi presenti nella biomassa), quindi la fermentazione (l’etanolo si ottiene a partire da zuccheri a 5 e a 6 atomi di carbonio grazie all’uso di microorganismi specifici). Infine, la separazione (purificazione dell’etanolo prodotto). Le biomasse utilizzate nell’impianto di Tortona sono per lo più canna comune, sorgo da fibra e paglia di grano: vengono pretrattate attraverso l’immissione di vapore acqueo e idrolizzate in zuccheri semplici fermentabili, con l’utilizzo di enzimi ad alta performance.

I risultati ottenuti dall’impianto pilota hanno convalidato i dati sperimentali, selezionato la biomassa con maggior resa e definito la tecnologia di pretrattamento/idrolisi migliore per un’ottimale conversione biochimica in etanolo. E il resto dell’energia da fonti bio non fotovoltaiche in Italia? Non è messa molto bene: l’unica che sembra avere successo fin dagli anni 80 è quella a legna (termo camini e stufe). Stime informali della FIRE (Federazione Italiana per l’uso Razionale dell’Energia) dicono che le famiglie italiane ne consumano annualmente circa 6 megapet (milioni di tonnellate equivalenti a petrolio) per lo più auto approvvigionata. Sarà perchè non devono pagare l’Iva all’acquisto?


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L'autore

Liliana Bossi

Liliana è giornalista pubblicista alla fine degli anni 90. Dal 2002 è iscritta all’Albo dei Giornalisti della Lombardia e collaboratrice de Il Sole24ore.com/job24. Si interessa di problematiche legate all’ambiente sociale e lavorativo oltre ad avere una passione per la tecnologia industriale e i suoi sviluppi ecocompatibili.


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