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Barile a picco, battuta d’arresto per le rinnovabili
Il prezzo del petrolio cala del 6% in un giorno. Se il trend dovesse proseguire le rinnovabili subirebbero una battuta d'arresto
Una buona notizia per metà del mondo, una pessima per l’altra metà. Parliamo della quotazione del petrolio che ha raggiunto il minimo storico da undici anni: 33,99 dollari al barile, perdendo in sole 24 ore il 6,16% (aggiornamento alle ore 22:00 del 6 gennaio 2016. N.d.R). Buona per i consumatori di fonti fossili, ossia oltre l’84% dei produttori/utilizzatori d’energia che a vario titolo utilizzano petrolio, gas naturale e carbone, tutte fonti legate a queste quotazioni, pessima per chi punta sulle rinnovabili ed è attento alla lotta ai cambiamenti climatici. Ma come al solito è necessario prestare attenzione anche al contesto nel quale si svolge questo fenomeno. Il calo dei prezzi è originato sia dal calo della domanda da parte degli Stati Uniti e della Cina, e dalle previsioni non esaltanti rispetto all’economia di quest’ultima e dall’ennesimo rifiuto dell’Arabia Saudita, e del cartello dell’Opec, di diminuire la produzione. Risultato: eccesso d’offerta e prezzi a picco. E non basta. Non sono pochi gli analisti internazionali che prevedono ulteriori cali, nonostante l’aumento della tensione internazionale tra Arabia Saudita e Iran, dovuta all’esecuzione di massa di esponenti della minoranza, nel regno saudita, sciita, fatti che di solito fanno alzare il prezzo dell’oro nero.
«Con la mancanza di un forte catalizzatore verso l’alto dei prezzi all’orizzonte , non siamo ancora fuori dalla selva dei prezzi bassi. – ha detto al Guardian, Miswin Mahesh , analista petrolifero di Barclays Capital – La produzione non dell’Opec, come quella del mare del Nord, del Canada e del Brasile è in calo, ma non abbastanza velocemente in un momento in cui la domanda è debole, anche a causa di un inverno mite nell’emisfero settentrionale».
E il fatto potrebbe avere serie conseguenze per le rinnovabili e il clima. Se da una parte l’accordo di Parigi alla Cop 21 dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, spingere verso le nuove fonti, il prezzo più basso, almeno del 65% in un anno, del barile potrebbe mettere fuori mercato anche le fonti verdi più mature, come fotovoltaico ed eolico, che non riescono a seguire un trend di diminuzione così basso. E l’influenza delle crisi mediorientali ormai non è più così netta come in passato, anche a causa della diversificazione delle fonti petrolifere. Oltre a ciò c’è da dire che di fronte a una politica così aggressiva da parte dell’Opec gli altri paesi non sono in grado di reagire stretto giro, ma non sono pochi gli analisti che vedono anche un braccio di ferro tra Opec e Usa con questi ultimi che avrebbero preso in mano le redini, contando sul fatto che lo scorso anno il prezzo del barile a 45$ ha provocato una perdita per il bilancio statale saudita di 95 miliardi di dollari, cosa non da poco. E lo scenario futuro non sembra roseo visto che il mercato dei futures li fissa a una quotazione di poco superiore al mercato odierno. E chi sostiene che il problema del basso prezzo del petrolio convenzionale influenzi in maniera determinante anche lo shale oil a stelle e strisce dovrebbe considerare il fatto che gli Stati Uniti fanno sistema e che le perdite per lo shale sono in realtà una goccia, rispetto ai vantaggi dei bassi costi dell’energia, per una nazione manifatturiera come gli Usa che li usano anche per la ripresa economica, avvantaggiandosi rispetto a Russia, Opec e altri paesi solo produttori e giocando duro anche nei confronti della Cina. Il gigante asiatico, infatti, è stretto tra la necessità di non scendere al di sotto del 7% annuo d’aumento di Pil e l’inquinamento da carbone, l’84% della produzione energetica, che lo sta soffocando. Ma il ricorso alle rinnovabili aumenterebbe la spesa verso l’estero della Cina con effetti negativi sul Pil, mentre l’utilizzo di fonti fossili d’importazione potrebbe renderla troppo vulnerabile dai futuri aumenti del barile. Nel frattempo nel mondo economico finanziario si pensa che il floor. ossia il fondo sia a 25$ a barile, cosa che metterebbe definitivamente fuori gioco le rinnovabili per un ciclo energetico, ossia 25 anni.
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L'autore
Sergio Ferraris
Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.
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