intervista
Angelantoni: il solare termodinamico italiano è finalmente pronto a partire
Gianluigi Angelantoni, presidente di Anest, evidenzia come la maggioranza degli impianti in via di realizzazione si trovi in Sicilia e Sardegna
Per il solare termodinamico italiano è finalmente arrivata l’ora della svolta? Questa tecnologia, figlia di un’intuizione del premio Nobel Carlo Rubbia, è rimasta più che altro sulla carta nella Penisola, con pochi impianto dimostrativi in funzione. Recentemente, però, la principale associazione di categoria, Anest, ha evidenziato come nei prossimi mesi la realizzazione degli impianti potrebbe finalmente sbloccarsi. Ne abbiamo parlato con Gianluigi Angelantoni, presidente di Anest e Ad dell’omonimo gruppo.
Nei mesi scorsi avete parlato di 235 MW di solare termodinamico a realizzare in Italia: a che punto siamo con questi progetti, alcuni sono effettivamente partiti?
Nei recenti incontri che abbiamo avuto con rappresentanti del Governo e del Ministero dello Sviluppo Economico abbiamo illustrato la presenza effettiva di circa quindici progetti di impianti in pipeline per un totale di oltre 300 MW entro il 2017, con un investimento diretto di quasi 1.200 milioni di euro; di questi progetti, circa 120 MW sono realizzabili entro il 2016, distribuiti in 11 impianti, tra grandi (2) e piccoli (9). Gli impianti sono basati sulle diverse tecnologie del solare termodinamico: specchi parabolici (PT), Fresnel (FR) e a torre (TW). Essi si trovano collocati prevalentemente nelle regioni di Sicilia e Sardegna, ma con una presenza significativa anche in Basilicata e in Calabria. In attività esistono sei impianti con una potenza complessiva di circa 8MW. L’occupazione iniziale, legata alla realizzazione degli impianti previsti entro il 2016, è valutata in oltre 3.500 unità tra diretti e indotto in fase di costruzione e circa 400 persone durante la fase di esercizio per circa un trentennio.
La costruzione e il futuro di funzionamento di questi impianti gode di qualche misura di sostegno?
Il Conto Energia riservato al settore del solare termodinamico, in considerazione della sua unicità nell’ambito delle FER per la radice italiana della sua ricerca e la presenza di una filiera industriale locale, rappresenta un congruo sistema di incentivi. A causa degli incredibili ostacoli legati alla lunghezza degli iter burocratici-amministrativi, il rischio che il settore sta affrontando è quello del prossimo raggiungimento del tetto di 5.8 miliardi di euro annuo, stabilito per legge per le FER non fotovoltaiche. In questo senso ANEST guarda con molta attenzione la formulazione da parte del MISE di un piano di indirizzo per il settore delle energie da fonti rinnovabili a valersi negli anni 2015 e 2016. Esso dovrebbe rendere nuovamente disponibile un ammontare apprezzabile di incentivi e quindi consentire al settore del solare termodinamico di rendere operativi i progetti in pipeline.
Esiste un problema di sindrome Nimby per gli impianti in questione? Come pensate di affrontarlo?
Il problema del consenso sociale, a livello dei singoli territori interessati, ha impegnato particolarmente l’associazione e i suoi associati nel corso di questi ultimi due anni. Il territorio coinvolto nei progetti è di circa 400 ettari complessivi; faccio notare tuttavia che l’occupazione reale media del suolo è di circa 6 ettari totali (1,5% del totale), con aree fra gli specchi adibite a pascolo o coltivazioni. Per piena trasparenza, nel rispetto dei requisiti ambientali, abbiamo siglato nel mese di maggio 2014 un Protocollo d’accordo con Legambiente denominato “Solare Termodinamico per uno sviluppo integrato nell’ambiente e nel territorio italiano”.
A che punto è, invece, la partecipazione delle imprese italiane nei grandi progetti all’estero? Le difficoltà di Desertec hanno complicato la situazione?
Per quanto riguarda la partecipazione di imprese italiane nei progetti internazionali, nonostante i buoni contatti in corso con i paesi del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita e alcuni paesi dei Nord Africa come il Marocco, l’assenza di grandi impianti operativi nel territorio italiano ci ha finora penalizzato poiché costituisce spesso un prerequisito per i bandi internazionali. Di contro, importanti imprese estere, spagnole, giapponesi e svizzere hanno in corso grandi progetti nel nostro paese.
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L'autore
Gianluigi Torchiani
Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili
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