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Tekneco #14 – Metropoli

Una città per volare

Il puzzle della riqualificazione urbanistica passa per opere realizzate male o per oneri di urbanizzazione irrisori rispetto a Paesi come la Germania

Scritto da il 05 marzo 2014 alle 8:30 | 0 commenti

Una città per volare

Prendete le periferie urbane degli anni Sessanta, le borgate, immortalate da Federico Fellini e Pierpaolo Pasolini, aggiungete i piani per l’edilizia popolare degli anni Settanta e Ottanta, condite il tutto con le nuove direzionalità degli anni Novanta, aggiungete un poco, come il prezzemolo, di speculazione e abusivismo, decorate il tutto con abitazioni di bassa qualità e ad alto consumo energetico e vi troverete di fronte alla situazione urbanistica che viviamo oggi in molte città italiane.

Ed è una situazione che peggiora. La sempre maggiore pressione abitativa sulle periferie, dovuta all’espulsione dei nuclei familiari dai centri storici, oggi, in un momento in cui c’è un sostanziale blocco delle nuove realizzazioni edilizie a uso abitazione, sta peggiorando le cose. È sufficiente prendere il dato relativo al traffico pendolare sui treni per accorgersene.

Secondo l’ultimo rapporto “Pendolaria”, redatto da Legambiente, ogni giorno in Italia si muovono sui binari 2,9 milioni di persone che sono aumentate del 20% dal 2007, in gran parte concentrate nelle metropoli. «Sono 670mila i pendolari lombardi, 560mila quelli del Lazio e su alcune linee è come se ogni mattina si spostassero tutti gli abitanti di città come Arezzo o Ancona», afferma il rapporto.

A ciò è necessario aggiungere quella galassia non valutabile di chi si sposta in auto, congestionando le arterie delle città. Uno dei pochi dati noti in proposito è quello diffuso ormai una decina d’anni fa dal Comune di Roma che valutava nel 60% del totale il traffico d’attraversamento nella Città eterna. Buona parte della responsabilità di ciò la si deve attribuire al fatto che in Italia i permessi di costruzione si concedono contestualmente alle opere accessorie e, in questa maniera, spesso strade, scuole e linee di trasporto pubblico vengono semplicemente non realizzate o non completate dai costruttori.

È il caso del prolungamento della linea A della metropolitana oltre Anagnina a Roma, che era stato imposto ai costruttori in cambio della realizzazione dell’intero quartiere della Romanina. Il risultato è che, a edificazione finita, i costruttori hanno preferito pagare la penale, inferiore al costo attualizzato di realizzazione delle due fermate di metropolitana, piuttosto che realizzare l’opera. E ai 30mila abitanti della Romanina e di Tor Vergata, dove è presente il secondo ateneo di Roma sul quale tra amministrativi e studenti gravitano oltre 41mila persone, non sono rimaste altre alternative se non l’auto o il trasporto pubblico di superficie, entrambi congestionati.

Cemento non servito

Oltre a questo fenomeno ad aggravare la situazione c’è l’eccessiva convenienza nella realizzazione ex novo delle nuove direzionalità. Una ricerca dell’Inu Lazio sulla redditività dell’edilizia in Italia prima della crisi ha squarciato un velo sul fenomeno, noto ma taciuto. Nella provincia di Roma il ritorno dei costruttori sulle realizzazioni edilizie oscilla tra il 70% di Frascati e il 53% della Bufalotta, un risultato che nessun altro settore industriale riesce a fare e a consentirlo sono i bassi oneri d’urbanizzazione che a Milano sono tra il 5 e l’8% e a Roma tra il 3 e il 7%, mentre in Germania, a Monaco di Baviera, partono dal 30% del valore del costruito.

«E da qui nasce una facile riflessione sulla qualità della rigenerazione urbana nelle città tedesche rispetto a quelle italiane», commenta il rapporto dell’Inu Lazio. Quindi è chiaro che il prezzo pagato in oneri d’urbanizzazione dai costruttori non può coprire la creazione di servizi da parte del pubblico e automaticamente ciò si traduce in quartieri dove la qualità della vita è bassa. Il basso introito degli oneri per le opere d’urbanizzazione, inoltre, non favorisce l’abbattimento-ricostruzione in quanto gli oneri d’urbanizzazione sarebbero ancora più bassi, ragione per la quale agli enti locali non conviene facilitare queste operazioni, ma quelle su nuovi territori, per fare cassa.

Questo è, quindi, lo scenario di difficoltà che qualsiasi intervento di riqualificazione urbanistica si trova ad affrontare, rafforzato dal fatto che il processo di abbattimento-ricostruzione in Italia è ulteriormente indebolito dall’estrema frammentazione della proprietà edilizia, dall’inefficacia dei controlli sull’abusivismo e dai condoni edilizi – pratica inesistente in tutta Europa al punto che i traduttori del Parlamento europeo non riescono a trovare una traduzione valida – che hanno stabilizzato situazioni al limite del paradosso.

Mobilità come diritto

Per un risanamento urbanistico degno di questo nome il primo passo da fare, in tutti i casi, è quello di rafforzare, o creare ex novo, delle efficienti reti di trasporto pubblico, supportato da una forte spinta all’intermodalità. In Italia, infatti, non sono pochi i casi nei quali i collegamenti tra le diverse direzionalità sono fermi da decenni, come nel caso della saldatura urbanistica ormai realizzata tra Roma e Ostia, sul cui asse oggi vivono 750mila persone e che è “dotata” di tre assi di comunicazione, due viari e uno ferroviario, realizzati tutti prima del secondo conflitto mondiale.

Oggi soluzioni rapide e poco costose esistono. Una innovativa metropolitana di superficie, la TransMilenio, è stata realizzata a Bogotà, in Colombia, in soli tre anni con costi inferiori del 95% rispetto a una metropolitana sotterranea, mentre in tutti i Paesi si punta all’organizzazione di mobilità ciclabile intermodale con i mezzi pubblici o al car sharing. Altra questione importate è quella dei servizi che devono perdere il proprio carattere centralizzato per diventare di prossimità. Tradotto: scuole, ambulatori, asili e uffici devono avere sedi piccole e diffuse, in modo da essere vicini ai soggetti che devono fruire i servizi.

Quest’ultima soluzione ha anche una peculiarità essenziale, ossia quella di riqualificare nei fatti degli spazi che spesso per errori di progettazione urbanistica nascono già degradati, poiché la concezione stessa, magari architettonica, di questi luoghi ne impedisce l’utilizzo fin dall’inizio. E qui entra in gioco il ruolo dell’architettura moderna che troppo spesso non è partecipata e non tiene conto di situazioni sociali quali la demografia degli abitanti, le classi sociali, l’età e così via. Prova ne sono alcune realtà delle periferie italiane come le Vele di Scampia, Corviale a Roma, le Torri di San Polo a Brescia, Quarto Oggiaro a Milano.

Energie del territorio

La riqualificazione urbanistica, inoltre, in futuro non potrà prescindere dalle problematiche energetiche che potrebbero essere una sorta di “collante sociale”. Le energie rinnovabili e l’efficienza energetica, anche solo a livello di cogenerazione, per esempio, potrebbero rappresentare un primo terreno comune sul quale basare la riqualificazione urbanistica e non solo energetica. Si tratta di ciò che sta succedendo nel quartiere di Corticella a Bologna, dove il Comune sta discutendo con i cittadini, all’interno dello scenario rappresentato dal Paes, come cambiare in direzione di una maggiore sostenibilità ambientale e sociale il sistema di teleriscaldamento, oppure a Dobbiaco dove è una cooperativa di cittadini-utenti a gestire la centrale di teleriscaldamento a biomasse che serve la zona. L’energia, in definitiva, potrebbe rivelarsi cruciale per innescare in parecchie realtà i processi di riqualificazione urbanistica che altrimenti stenterebbero a decollare.

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L'autore

Sergio Ferraris

Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.


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