consumo di suolo
Il Belpaese di cemento
L’Italia è il quarto Paese in UE per consumo di suolo. Cosa si sta facendo a livello politico e amministrativo per fermare lo scempio? Poco, secondo Vezio De Lucia
“Belpaese” è l’appellativo con cui viene ancora oggi ricordata l’Italia, decantata così già da Dante e Petrarca anche per la bellezza del suo paesaggio naturale. Ma questa “grande bellezza” è stata deturpata dalla cementificazione selvaggia nel corso degli anni. Tanto che, per consumo di suolo, l’Italia è quarta in Unione europea. E se consideriamo che a precederla sono Olanda, Belgio e Lussemburgo, ossia tutti Paesi di limitata estensione e con modesta presenza di montagna nel proprio territorio, il dato è ancora più rilevante. A evidenziare la situazione europea è il rapporto elaborato dal Centro studi di Confagricoltura, intitolato “Il consumo di suolo in Italia”. Per comprendere bene l’escalation del fenomeno vale la pena considerare i dati Ispra. Nel suo ultimo rapporto sul tema (febbraio 2014), l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ha stimato l’evoluzione della quota di territorio costruito in Italia, dagli anni Cinquanta al 2012, rilevando una crescita di due volte e mezzo, pari ad una superficie di 1,32 milioni di ettari. Si è passati dagli 870 mila ettari di suolo consumato degli anni Cinquanta ai 2.189.000 del 2012, un’escalation con inevitabili pesanti conseguenze: «Per avere un’idea dell’effetto di questa crescita sulla impermeabilizzazione del suolo, si consideri che l’intero sistema idrografico italiano è stato chiamato a smaltire rapidamente, perché immessi in condutture dedicate, 24 milioni di metri cubi d’acqua in più ogni anno per ogni 100 mm di precipitazioni», sottolinea Confagricoltura. Cosa si sta facendo per correre ai ripari? In Parlamento pare – il dubbio è d’obbligo – che qualcosa si stia muovendo: diverse sono le proposte sul tavolo e le due commissioni Ambiente e Agricoltura hanno discusso in seduta congiunta proprio sulla “Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo”, alla presenza dei ministri Galletti e Martina. «A livello parlamentare, mi pare ci siano quasi 18 disegni di legge in discussione tra Camera e Senato, presentate da tutte le forze politiche e dal Governo. Personalmente sono critico su tutte queste proposte: a partire dal Governo, che se doveva risolvere con sollecitudine una questione era proprio quella dello stop al consumo di suolo. Invece si è fatto ricorso a procedure ordinarie parlamentari, aprendo discussioni che vanno avanti da anni». A dirlo è un autentico esperto in materia: Vezio De Lucia, urbanista, nel cui curriculum figurano ruoli istituzionali di primo piano sia a livello governativo (è stato, fra l’altro, direttore generale del Coordinamento territoriale e membro del Consiglio superiore dei Lavori pubblici), che a livello regionale, provinciale e comunale; inoltre, ha svolto e svolge attività anche a livello culturale a difesa del consumo del territorio. La sua critica è motivata: «Le procedure imboccate, almeno la gran parte, sono basate sul ricorso al terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione, che riguarda le materie oggetto di legislazione concorrente, quelle cioè per le quali la potestà legislativa spetta alle Regioni, mentre allo Stato compete soltanto la determinazione dei principi fondamentali. In pratica, lo Stato fissa i principi, che devono essere tradotti in leggi operative dalle Regioni; queste ultime obbligano i rispettivi Comuni a strutturare i piani regolatori nel rispetto dei principi della legge statale e stando alle regole stabilite della legge regionale. Con questa procedura, fatti i conti, per arrivare a una piena operatività, nelle Regioni meno “sensibili” a questo tema possono passare anche 20 anni. Mentre andrebbe imboccata la strada intrapresa dalla Toscana». La Regione ha da pochi mesi varato la nuova legge urbanistica, definita da De Lucia, «l’unico elemento positivo nello scenario italiano. Essa obbliga tutti i Comuni del territorio a perimetrare la parte urbanizzata, separandola da quella che non lo è e ponendo quale vincolo di non consumare, se non in casi veramente eccezionali, il territorio non urbanizzato». Tradotto in altri termini: in Toscana non si potranno erigere mai più case in campagna. Certo, potranno essere realizzate attività di carattere produttivo, per determinati servizi e infrastrutture, ma saranno autorizzate solo a fronte di procedure molto rigorose e che abbiano a riguardare ambiti territoriali più vasti. È una vera boccata d’ossigeno per il territorio italiano dopo che, spiega l’urbanista, dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi, a fronte di una crescita demografica di poco superiore al 20%, la superficie urbanizzata ha registrato un incremento medio del 1.000%. Oltre alla strada imboccata dalla Toscana, segnala anche la possibilità degli stessi Comuni di attivarsi in questo senso: l’esempio di Cassinetta di Lugagnano (Milano) e del suo Pgt a crescita zero ha fatto storia, ma altre amministrazioni comunali hanno fatto un identico percorso. Il problema è che si è fatto troppo poco: «C’è però una responsabilità delle regioni, che (eccezion fatta per Toscana e Puglia) non hanno approvato i piani paesaggistici che dal 2004 sono obbligatori per legge e che, se ben realizzati, si poteva imporre lo stop al consumo di suolo – commenta De Lucia -. Ma anche lo Stato non è esente da colpe dato che è uno strumento di co-pianificazione. Per cambiare qualcosa c’è anche bisogno di una sollecitazione da parte dell’opinione pubblica, dell’ambientalismo, ma anche della cultura, perché ne va della salvezza del nostro patrimonio » non solo ambientale, ma anche culturale e storico.
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L'autore
Andrea Ballocchi
Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.
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