Cassazione d’amianto
La sentenza della Cassazione sullo stabilimento Eternit di Casale Monferrato dove si produceva amianto è un atto che rallenterà il Paese per decenni
Poteva essere la sentenza che avrebbe portato l’Italia all’avanguardia e invece no. Ammettere il disastro ambientale, e assolvere il colpevole per prescrizione del reato, come ha fatto la Corte di Cassazione nel caso Eternit, significa ributtare il nostro Paese alla retroguardia del vivere civile. Ed è una sentenza miope perchè, oltre a essere contro i cittadini danneggiati, è anche contraria al mondo delle imprese. Ma andiamo con ordine, perchè prima delle aziende c’è la vita. E la vita è quella delle oltre 3.000 vittime dell’amianto già uccise, così come la vita è quella di coloro che oggi si portano il male dentro e continueranno a essere vittime dell’amianto, tutte incolpevoli, anche del futuro, perchè le fibre di asbesto dentro al loro corpo non conoscono né il tempo, né tantomeno la prescrizione di legge.
Avrebbe potuto essere, la sentenza della Cassazione, un punto di civiltà nel quale si sarebbe potuto affermare che le persone, il lavoro e l’impresa possono guardare a un orizzonte migliore, nel quale le contrapposizioni che abbiamo visto in passato, tra lavoro, vita e impresa, potevano essere superate. E invece no. Nascondendosi dietro a una procedura si è voluta nascondere la bomba a orologeria del nostro tempo: l’inquinamento chimico ereditato dal passato.
In tutti i siti d’interesse nazionale inquinati – e anche in quelli “declassificati” a interesse regionale - ci sono vite a orologeria che sono scandite non dal ritmo delle stagioni, ma da quello della chimica di sintesi che è penetrata prima nell’aria, nel suolo e nell’acqua, fino ad arrivare, in alcuni casi, al linguaggio più profondo della vita, dentro le cellule: il Dna. E in questi luoghi ci sono comunità ferite e lacerate nel profondo, come a Taranto con l’Ilva dove è stridente la contrapposizione tra salute e lavoro, o a Brescia con la Caffaro dove sono già le generazioni future a pagare il conto del passato. Su Casale Monferrato, però, questa sentenza traccia un ulteriore e profondo solco tra cittadini e Stato. Il segnale dato alla comunità di Casale, legata al suo interno dallo strazio di questa subdola malattia – prima professionale e poi sociale, sulle cui cause non esiste alcun dubbio scientifico – è chiaro: esiste il delitto, ma poichè non è scritto negli atti non lo puniamo. Ed è un segnale dato a tutti i cittadini che vivono sulla propria pelle l’inquinamento chimico, ma è anche un pessimo segnale dato alle imprese, alcune delle quali potrebbero decidere circa l’inutilità del rispetto dell’ambiente. La possibilità di risparmiare sui costi industriali, tentazione amplificata dai morsi della crisi, a questo punto diventa concreta, visto che non solo sono state annullate le sanzioni penali, ma persino i risarcimenti civili. Non saranno pochi, purtroppo, coloro che penseranno di trovarsi più liberi nel poter attentare all’ambiente. Per non parlare del segnale di via libera che si dà alla criminalità organizzata sul fronte delle attività illecite e del traffico di rifiuti.
E c’è anche la giustizia tra gli sconfitti. Molti accusano il pm di Torino, Raffaele Guariniello, d’aver sbagliato strategia processuale nell’impostare il processo come “disastro ambientale doloso” e non puntare direttamente sull’omicidio colposo o doloso – che non sono soggetti ad alcuna prescrizione. E invece Guariniello ha voluto puntare in alto. Avrebbe voluto far fare un salto di civiltà e di modernità alla giustizia e all’Italia, facendo comprendere che quando si parla d’ambiente non è il tempo e il numero delle vittime a fare la differenza, ma è l’atto in se che deve essere punibile anche se le conseguenze non si sono ancora manifestate. Un salto di logica che sarebbe stato un atto di grande modernità, di comprensione dei fenomeni scientifici legati alle sostanze e che avrebbe aiutato anche le imprese italiane, indicando loro la via, che comunque sarà quella obbligata, dell’incontro con l’ambiente, in un campo dove per ora c’è stato lo scontro. La Cassazione, però, ha voluto abbracciare un’ottica miope e di breve periodo che non guarda al futuro. Ottica che oltretutto sancisce il fatto che gli inquinati, gli alluvionati, e così via, per avere giustizia, in futuro, dovranno contare delle vittime tra di loro. Perchè, secondo la Cassazione, senza morte non può esserci giustizia.
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L'autore
Sergio Ferraris
Sergio Ferraris, nato a Vercelli nel 1960 è giornalista professionista e scrive di scienza, tecnologia, energia e ambiente. È direttore della rivista QualEnergia, del portale QualEnergia.it e rubrichista del mensile di Legambiente La Nuova Ecologia. Ha curato oltre cinquanta documentari, per il canale di Rai Educational Explora la Tv delle scienze. Collabora con svariate testate sia specializzate, sia generaliste. Recentemente ha riscoperto la propria passione per la motocicletta ed è divenatato felice possessore di una Moto Guzzi Le Mans III del 1983.
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