Impariamo l’ecologia dalle star dell’architettura
Le innovazioni più collaudate nell’edilizia eco-sostenibile sono spesso progettate e sviluppate dai grandi progettisti internazionali dai quali trarre utilissime indicazioni.
I committenti immobiliari sia pubblici che privati sono oggi particolarmente esigenti e al costruttore chiedono di realizzare edifici ad alta efficienza energetica, di costo non eccessivo e, infine, con una qualità formale elevata. Questi tre requisiti infatti consentono di alzare il valore aggiunto e di conseguenza di tenere alto il prezzo dell’edificio. Ma realizzare immobili eco-sostenibili, per di più esteticamente pregevoli, richiede investimenti più consistenti di quelli praticati dall’edilizia tradizionale. Eppure grazie alle cosiddette archistar (“star” dell’architettura), famose ma anche assai criticate grandi firme del progetto, coniugare sostenibilità ambientale, finanziaria ed estetica sta diventando una realtà. Le archistar infatti grazie agli ingenti mezzi finanziari che i fondi del real estate mettono a disposizione e grazie ai loro grandi studi di progettazione, sfornano sempre più spesso applicazioni innovative che in scala minore il privato può “copiare”. E che sono già state ampiamente collaudate con risparmi energetici consistenti sino ad arrivare alla totale autonomia energetica di edifici anche “colossali”.
Tradizionale è meglio?
Cesare Maria Casati, fondatore e direttore de L’Arca, rivista internazionale di architettura, è però molto severo e nulla concede a chi parla di eco-sostenibilità in modo affrettato e superficiale. “Nel giro di alcuni anni le innovazioni in questo settore si sono moltiplicate e anche gli investimenti più onerosi hanno un ritorno particolarmente vantaggioso in tempi meno lunghi di un tempo. Ovviamente occorre costruire con materiali e tecniche costruttive di qualità costante. Un edificio costruito secondo queste principi consuma infatti molto meno di qualsiasi altro oltre a produrre una minor quantità di Co2”. C’è inoltre un mito da sfatare sul rapporto tra ecologia e progetto e cioè che il ricorso alle tecniche tradizionali locali sia sempre portatore di benefici effetti. Anzi, in virtù del peggioramento delle competenze specifiche della filiera edilizia causato da troppi appalti in catena, c’è il rischio di avere risultati di bassa qualità. E lo dichiarano gli esperti di Architectes sans frontières, l’associazione internazionale che riunisce i progettisti che intervengono con le loro competenze nei luoghi più disastrati del pianeta. “Si idealizzano di frequente le tecniche edilizie autoctone-dichiara un portavoce di Asf-la nostra esperienza sulle coste del Pacifico devastate dallo tsunami ci ha dimostrato che senza un controllo di qualità queste specializzazioni spesso desuete sono attuate in modo non corretto”. E chi come privato cerca anche in Italia di mettere in atto queste pratiche tradizionali deve prima di tutto selezionare gli artigiani del luogo con molta attenzione. Le scelte di questi architetti –tutti volontari- e quelle attuate negli ultimi anni dalle archistar seguono alcune linee comuni, sia pure su scale diverse e con risorse profondamente differenti.
Le scelte delle archistar
Comune ai grandi progettisti è la scelta di materiali altamente isolanti e, subito dopo, di pannelli solari e celle fotovoltaiche. Nel centro Lewis nell’Oberlin College dell’Ohio i pannelli solari di 10 anni fa continuano a produrre il 30% in più di energia di quanto ne assorba l’edificio. Segue in questa ideale scala dei valori il ricorso a co-generazione, geotermia e pompe di calore. Grandi, sorprendenti risultati producono i rivestimenti vegetali di tetti e pareti. Praticata sempre più spesso è la modulazione variamente ottenuta della luce (per ridurre l’impiego di illuminazione artificiale, come accade nello stadio –nido di Pechino e nell’Arena di Monaco di Baviera). Ormai è prassi comune per le archistar recuperare le acque piovane soprattutto negli edifici dei paesi a basso indice di piovosità e incrociare tecniche costruttive locali con tecnologie attuali.
Le idee copiabili
Renzo Piano è stato premiato ancora una volta negli Stati Uniti dal Green Building Council per aver ricoperto l’edificio del Museo di San Francisco di colline verdi che riducono i consumi altamente inquinanti del condizionamento. E per aver applicato 60mila celle fotovoltaiche che rendono il complesso del tutto energeticamente autonomo. La modulazione della luce è stata applicata da Norman Foster a Pechino con una copertura trasparente che in estate si apre creando una naturale ventilazione anti-afa. Foster ha trasferito questo rodato principio anche nel progetto del più grande edificio al mondo, la Crystal Island a Mosca dove 2,5 mq saranno protetti da una cupola trasparente che evita dispersioni termiche in una zona dopo il clima è molto rigido. Turbine eoliche e pannelli solari integrano semplicemente il clima temperato artificiale mentre d’estate l’immensa copertura si apre favorendo una ventilazione naturale. In realtà il ricorso a piccole coperture mobili e a sistemi schermanti modulabili -le usò per primo le Corbusier –quali i frangisole e i pannelli in facciata è noto da tempo ma ancora poco impiegato dai costruttori italiani. Una prassi applicata da Mario Cucinella per una casa “componibile” messa a punto in collaborazione con Legambiente che costerà 100mila euro, avrà zero emissioni di Co 2 e sarà dotata di diaframmi e partizioni tali da dilatare o ridurre gli spazi a volontà, compresi terrazzi e balconi. Le archistar stanno inoltre realizzando edifici sui quali l’acqua piovana scorre e viene raccolta per evitare sprechi. Seguendo questa pratica virtuosa e realizzando impianti idrici doppi si potrebbe ottenere un grande risparmio dell’oro bianco, soprattutto al Sud.
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Paola Guidi
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