Certificazione
Una questione di etichetta
Emas, Ecolabel e gli standard internazionali Iso: quanto sono diventatati importanti i marchi di qualità ambientale per l’impresa e i consumatori
Articolo a firma di Gianni Parti pubblicato sul Teckneco #9
Il vino, da quando è “doc”, è migliore. Nel senso che, da quando le persone hanno imparato che questa certificazione identifica con garanzia l’origine controllata del prodotto, hanno cominciato a guardare l’etichetta e a chiedere che tutte le bottiglie dei propri vini migliori fossero per lo meno “doc”.
L’etichetta e più in generale i marchi di garanzia non sono un gioco. In fatto di sostenibilità, per esempio, l’obiettivo stabilito dall’Unione europea è dichiaratamente quello di favorire una produzione rispettosa dell’ambiente e un consumo ecologicamente consapevole, basati sugli strumenti Emas, Ecolabel e sugli standard internazionali della serie ISO. Strumenti di certificazione che secondo l’Europa dovrebbero portare entro un ragionevole periodo di tempo alla stabilizzazione di un vero e proprio “mercato verde”.
Questo approccio è diventato una politica con una volontà esplicita di accrescere la diffusione dei regolamenti Emas ed Ecolabel (rendendoli più efficaci e appetibili), di promuovere il Green Procurement, i cosiddetti acquisti verdi per influenzare la crescita del “mercato ecologico”, di migliorare l’informazione ambientale business to business e business to consumers.
Ecolabel & Emas
Un percorso che è cominciato da lontano e che ha portato sempre più aziende ad investire nelle certificazioni. Prendiamo il marchio Ecolabel, creato nel 1992 in ambito Ue quale sistema di certificazione volontaria per prodotti realizzati col minore impatto ambientale possibile. In Italia, dal 1998 a dicembre 2010, sono state rilasciate 245 licenze Ecolabel UE per un totale di 8.982 prodotti/servizi etichettati, distribuiti in 15 grandi gruppi, dove a fare la parte del leone è il settore turistico (137 licenze). Seguono, poi, i detergenti multiuso e per servizi sanitari” (22 licenze) e dai “detersivi per piatti” con 13 licenze. Tuttavia, registra l’Ispra, per il 2010 si evidenzia una flessione dovuta alla necessità delle aziende di rinnovare il contratto per l’uso del marchio Ecolabel UE, sulla base dei nuovi criteri entrati in vigore.
«Il marchio in Italia ha avuto sinora uno sviluppo lento ma progressivo – spiega Claudio De Rose, presidente del Comitato per l’Ecolabel e l’Ecoaudit – e, sebbene a piccole tappe, si è arrivati all’attuale applicabilità a 26 gruppi di prodotti, alcuni dei quali (come i televisori, i fazzoletti, la carta stampata, le ceramiche per la pavimentazione, i detersivi a uso domestico e i saponi) rappresentano scelte di consumo che riguardano da vicino tutti noi. Altrettanto può dirsi per i servizi di ricettività turistica e per il servizio di campeggio. Inoltre, per effetto della recente revisione del regolamento comunitario (2010), il processo di ampliamento del marchio Ecolabel dovrebbe velocizzarsi, estendendosi a decine di nuovi prodotti nel prossimo biennio».
Oggi possono essere etichettati prodotti di largo consumo (con l’eccezione di alimenti, bevande e medicinali) e servizi. In particolare, esistono criteri Ecolabel per detersivi (per lavastoviglie, bucato, multiuso e per piatti), calzature, elettrodomestici (televisori, pompe di calore), saponi e balsami, prodotti in tessuto carta, carta per copie e grafica, prodotti vernicianti per interni e per esterni, ammendanti, substrati di coltivazione, personal computer, computer portatili, prodotti tessili, lampade elettriche, coperture, mobili in legno, lubrificanti, materassi, servizio di ricettività turistica e servizio di campeggio.
«Per sua natura – spiega ancora De Rose –, Ecolabel è trasparente, rigorosamente scientifico e assegnato da organismi competenti, autonomi e indipendenti. Parte del suo successo risiede anche nel fatto che è assolutamente volontario, e quindi il produttore o il gestore di servizio che lo richiede non può che essere convinto dei benefici che ne derivano all’ambiente e a se stesso in termini di competitività nell’ambito della green economy. Senza contare che l’impegno della stessa Ue nella comunicazione e propagazione del marchio è destinato a facilitarne la diffusione».
Secondo un’indagine Iefe-Bocconi, già nel 2009 la spesa per mantenere l’Ecolabel era pari allo 0,15% del volume di vendite generato dal prodotto o dal servizio in questione, ma veniva ripagata da un aumento del fatturato tra il 5 e il 30%.
Emas, ovvero il sistema comunitario di ecogestione e audit (Emas, Eco-Management and Audit Scheme), è anche questo un marchio a gestione volontaria per le imprese e le organizzazioni che desiderano impegnarsi per valutare e incrementare la propria efficienza ambientale. È destinato a migliorare l’ambiente e a fornire alle organizzazioni, alle autorità di controllo e ai consumatori uno strumento di valutazione e gestione dell’impatto ambientale di una organizzazione. Il numero delle organizzazioni registrate, dal 2010 al 2011, è passato da 1.080 a 1.136, mentre il numero totale delle registrazioni effettuate, nello stesso periodo, è passato da 1.263 a 1.375.
Il successo delle “Iso”
Le norme Iso serie 14000 forniscono strumenti manageriali per le organizzazioni che vogliano porre sotto controllo i propri aspetti e impatti ambientali e migliorare le proprie prestazioni in tale campo. Gli standard non indicano livelli prescrittivi di miglioramento della prestazione, ma definiscono le modalità per gestire le attività in modo da perseguire gli obiettivi di prestazione autonomamente determinati.
In particolari i benefici nell’adozione della certificazione UNI-EN-ISO 14001, secondo il Rapporto ambiente dell’Ispra, sono da ricondurre principalmente a: prevenzione o riduzione degli impatti ambientali; riduzione di utilizzo di materie prime ed energia implicati nei processi aziendali; riduzione di emissioni o rifiuti; miglioramento delle prestazioni ambientali attraverso obiettivi gestionali e/o tecnologici e impiantistici. Il numero delle organizzazioni certificate ISO 14001 è in crescita avendo raggiunto, a ottobre 2011, 15.039 unità, rispetto alle 14.013 del 2010 e alle 12.464 del 2009.
I primi dieci settori con la più alta concentrazione di certificazioni ISO 14001 sono: servizi pubblici; servizi professionali d’impresa, della produzione e distribuzione di energia elettrica; imprese di costruzione, installatori di impianti e servizi; metalli e loro leghe, fabbricazione di prodotti in metallo; trasporti, magazzinaggi e comunicazioni; commercio all’ingrosso, al dettaglio e intermediari del commercio; industrie alimentari, delle bevande e del tabacco; macchine elettriche e apparecchiature elettriche e ottiche e Pubblica amministrazione.
Le altre “etichette”
In ambito internazionale la più famosa e forse la più antica certificazione ambientale è stata l’angelo azzurro, il Blaue Engel, che esiste dal 1977 ed ormai ben noto a buona parte del pubblico tedesco, ma i simboli a garanzia di processi sostenibili e di qualità sono ormai molto numerosi.
Si stima, per esempio, che per migliorare la gestione sostenibile delle foreste siano oltre 50 gli standard di certificazione sviluppati in molti paesi del mondo, ma i più comunemente utilizzati sono quelli messi a punto dal Forest Stewardship Council (Fsc) e dal Programme for Endorsement of Forest Certification Schemes (Pefc). Si tratta di sistemi di certificazione che consentono di etichettare legno e prodotti derivati garantendo agli acquirenti che si tratta di prodotti ottenuti in modo sostenibile.
In ambito energetico il computer sul quale è stato scritto questo libro ha il classico bollino blu Enegy star, che è un marchio di certificazione statunitense, rilasciato dall’EPA (l’Agenzia per l’ambiente degli USA) per quei calcolatori con consumi energetici ridotti nella fase di stand by.
Più europea è invece l’etichetta energetica, quella alla quale ci siamo ormai abituati andando a comprare un elettrodomestico che divide in classi più o meno efficienti, per esempio, i nostri frigoriferi ed è ormai obbligatoria su gran parte degli apparecchi.
C’è poi la lunga serie delle certificazioni alimentari, forse le più note nel nostro paese e le più ricercate. Si è cominciato con i vini a denominazione di origine controllata, Doc: così di successo che oggi la parola stessa “doc” è entrata nel linguaggio comune per dire che una cosa è proprio vera e di qualità. Sono poi venuti i Dop (denominazione di orgine protetta), Igp (indicazione geografica protetta), Igt (indicazione geografica tipica), Docg (denominazione di origine controllata e garantita), Stg (specialità tradizionale garantita). Altra storia è il biologico, che dal 2010, in Europa è garantito dal marchio a forma di foglia con le stelle della Ue.
Ma ce ne sono anche nel settore cosmetico. Uno degli ultimi, in ordine di tempo, è il marchio Cosmos. Si tratta di uno standard elaborato da alcuni tra i principali enti certificatori europei che consente di applicare ai cosmetici il logo “Cosmos Organic”o “Cosmos Natural”. Il primo identifica i prodotti in cui sono biologici almeno il 95% degli ingredienti agricoli e almeno il 20% sul totale del prodotto finito, considerando anche l’acqua. Anche il prodotto naturale non deve avere più del 2% di materie prime di sintesi.
È inoltre richiesto il rispetto di requisiti “animalisti e ambientali”. Il che ci porta alla certificazioni “cruelty free”, ovvero non testato sugli animali, per le quali in assenza di un disciplinare di carattere istituzionali ci si può affidare al mondo delle associazioni di categoria, in questo caso quelle animaliste, e ad enti certificatori che abbiano già una salda reputazione in altri campi già riconosciuti. È il caso, per esempio, del “coniglietto bianco” di Icea (Istituto Certificazione Etica Ambientale) e Lav (Lega anti vivisezione).
Ci sono infatti enti riconosciuti che certificano e applicano tali marchi praticamente in ogni settore, dal tessile all’edilizia, dal commercio equo e solidale alla responsabilità sociale d’impresa, dal singolo prodotto all’intero processo.
Lo stesso Sole 24 Ore, il principale quotidiano economico in Italia, confermava qualche tempo fa l’importanza economica delle certificazioni ambientali, per esempio nel settore edile. Buone performance energetiche certificate da Leed, Itaca, Breeam, Hqe, Green rating o da uno degli altri marchi sui rendimenti energetici delle abitazioni possono infatti attribuire un valore economico alla nostra casa fino ad un 20% superiore.
Senza considerare, inoltre, le numerose certificazioni e processi per l’abbattimento delle emissioni di gas serra. AzzeraCO2, anziché Lifegate sono solo due dei marchi più noti nel nostro paese, che consentono, attraverso l’acquisto di pezzi di foresta o la piantumazione di nuovi alberi, di compensare le emissioni di anidride carbonica.
Ma anche gli standard internazionali non rimangono a guardare. Così le Iso si evolvono e l’ultima in ordine di tempo, è la 20121 per certificare gli eventi green, che siano concerti, fiere, festival, olimpiadi o mondiali di calcio.
È evidente che questa pletora di certificazioni e di marchi – il cui elenco è molto più ampio di quello qui descritto – richiedono professionalità fra le più diverse a seconda del campo d’azione. L’ecoauditor diventa così una figura trasversale, che può avere competenze specifiche e lavorare in autonomia, oppure lavorare in un team dove ognuno porta del suo in campi diversi e complementari. Non si tratta solo di figure che mettono il bollino, ma di veri e propri levatori di imprese verdi.
Chiedere un certificato non è quasi mai un fatto a posteriori. Sono le aziende che decidono di perseguire volontariamente un percorso di sostenibilità e qualità e, rivolgendosi a enti o a personale specializzato, si lasciano guidare nella transizione, spesso anche complessa, per la quale il rilascio del fatidico bollino è solo un attestato di successo.
Chi si fida e chi fa il furbo
Gli italiani hanno scoperto l’etichetta
Chissà cosa ci sarà nel cibo che mangiamo, nei tessuti che indossiamo o di cosa sarà fatto il legno delle nostre cassettiere? Per anni gli italiani sono stati sospettosi almeno quanto sono stati distratti. In molti casi (frodi a parte) sarebbe bastato leggere l’etichetta per capire che quella giacca era di nylon e che quella minestra liofilizzata conteneva troppo glutammato.
Ma qualcosa è cambiato. Secondo uno studio Adi-Nestlè uscito pochi mesi fa, solo il 4% degli italiani dichiara di non leggere mai, neanche in modo occasionale, le etichette alimentari. L’88% guarda soprattutto la data di scadenza, il 73% la lista degli ingredienti, il 68% la presenza di coloranti, il 67% quella dei grassi idrogenati, il 58% dei conservanti e il 43% dell’aspartame. E la sostenibilità ambientale? Un sondaggio Eurobarometro sempre di quest’anno rileva che il 72% degli europei è disposto a spendere di più per acquistare prodotti più verdi. E, di questi, il 60% degli italiani si dice fiducioso delle informazioni ambientali sulle etichette.
Ma gli eco furbi non sono rimasti a guardare. Hanno purtroppo cominciato a prosperare marchi di fantasia o le autodichiarazioni dei produttori, che però non certificano un bel niente. C’è chi, per esempio, si vanta sull’etichetta che il proprio detersivo è fatto al 99% di prodotti naturali: infatti è composto, come prevede la legge, al 99% di acqua, che innegabilmente è un prodotto naturale!
O chi annuncia, gonfiandosi il petto d’orgoglio, di averlo prodotto con il 100% di energia verde: cosa che potrebbe anche essere vera ma che comunque non è verificabile in nessun modo, per cui…
Oppure batterie ricaricabili la cui etichetta dice che sono “green”, ma di “green” hanno solo il fatto di essere ricaricabili. In tutti questi casi l’etichetta è stampata in modo da sembrare un vero e proprio bollino di garanzia. E così via. Altroconsumo, nel maggio 2012, ha lanciato un’inchiesta per mettere sul chi vive i consumatori, ricordando, per esempio, il caso di un’acqua minerale, né liscia né gassata, che si vantava di essere “a impatto zero”. Una dichiarazione priva di fondamento al punto che l’Antitrust è dovuto intervenire per sanzionarla.
I marchi ambientali, invece, esistono e sono ben regolamentati. Per lo più si tratta di disciplinari, per il quali il marchio è solo il suggello finale, il simbolo della corretta esecuzione di quei processi ufficialmente stabiliti affinché il prodotto o il servizio reso possa dirsi sostenibile. Non si tratta di obblighi, ma di regole a cui le imprese decidono di sottostare volontariamente.
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olivia
scrive il 08 dicembre 2012 alle ore 15:00
Gentile Redazione, vorrei chiedere come mai tra i marchi ambientali ne sono citati una serie, alcuni dei quali non sono legati all'efficienza energetica, E NON E' CITATO IL CERTIFICATO ENERGETICO E AMBIENTALE CASACLIMA ? Cordialmente Olivia Carone Presidente Casaclima Network Milano
Marco Gisotti
scrive il 10 gennaio 2013 alle ore 10:10
Gentile dott. Carone, rileggendo l'articolo noterà che esso non si occupa specificatamente dei marchi sull'efficienza energetica, ma è piuttosto una carrellata sulla percezione che il pubblico ha di questi "bollini". Non è quindi un catalogo enciclopedico ma un articolo giornalistico che ne cita solo alcuni come esempio. E, per quanto riguarda l'edilizia, si faceva riferimento ad una analisi del Sole 24 Ore e ai marchi da esso citati. Non c'è certo volontà censoria da parte nostra tant'è che CasaClima è spessissimo citata nel nostro sito. Grazie per la sua attenzione. Un gentile saluto, marco gisotti