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La ri-scoperta della ruota, ma adesso è verde | Tekneco

Tekneco #11 – Mobilità

La ri-scoperta della ruota, ma adesso è verde

Gli pneumatici incidono fortemente nell’impatto ambientale delle nostre vetture. Oggi sono in cantiere pneumatici green e che riducono i consumi delle auto

Scritto da il 07 giugno 2013 alle 8:30 | 0 commenti

La ri-scoperta della ruota, ma adesso è verde

Il mercato dell’auto in Europa ha segnato nel 2012 un ulteriore forte crollo delle vendite, tornate ai livelli del ’95, e l’Italia è riuscita a far “peggio”: si parla di cifre paragonabili a quelle dei primi anni Sessanta. La causa, secondo gli esperti, è da imputare alla crisi economica che continua ad attanagliare il Vecchio continente (e alle contromisure adottate, che penalizzano fortemente i consumi). Infatti nel resto del mondo, dove la crisi non si fa sentire, non si sono registrate simili contrazioni. Nonostante tutto, i veicoli oggi in circolazione sul Pianeta sono quasi 800 milioni, con la prospettiva di un raddoppio di qui al 2030.

Proprio la crisi economica sarebbe in parte responsabile anche dei miglioramenti registrati nei dati relativi all’inquinamento prodotto dai trasporti, da poco pubblicati dall’Agenzia europea per l’ambiente (Aea). Ma l’impatto ambientale causato direttamente o indirettamente dagli autoveicoli è ancora molto pesante. Ai trasporti è imputabile il 24% di tutte le emissioni di gas a effetto serra dell’Ue nel 2009.

Nonostante i progressi degli ultimi anni, ancora molto c’è da fare per debellare i rischi per la salute: livelli nocivi di biossido di azoto (NO2) superiori ai limiti di legge sono stati registrati nel 2010 nel 44% delle stazioni di monitoraggio dell’aria installate lungo le strade. I livelli di particolato (Pm10) hanno superato i limiti nel 33% di tali siti. Questi inquinanti possono avere conseguenze sul sistema cardiovascolare, sui polmoni, sul fegato, sulla milza e sul sangue.

Ma anche l’inquinamento acustico provocato dal traffico crea danni non trascurabili, e sono quasi 100 milioni le persone esposte a livelli medi di rumore dannosi prodotti da veicoli sulle strade principali. Sempre l’Aea sottolinea che nell’Unione è necessario ridurre ulteriormente l’energia utilizzata nei trasporti: nel 2011 è risultata solo del 4,3% inferiore rispetto al picco registrato nel 2007, e si teme che il trend viri al rialzo parallelamente all’attesa ripresa economica.

Una brutta aria

Che nel continente tiri una “brutta aria” non è certo sfuggito ai cittadini europei, che hanno di recente espresso le loro preoccupazioni in un’indagine specifica (Eurobarometro dal titolo “La posizione degli europei riguardo alla qualità dell’aria”): il 52% degli intervistati (in Italia il 50%) ritiene che l’inquinamento atmosferico causato dai trasporti debba essere una priorità per l’Ue, immediatamente dopo quello causato dall’industria.

«La politica perseguita dall’Unione europea è riuscita a ridurre le emissioni di molte sostanze inquinanti nel corso dell’ultimo decennio, ma si può fare di più. In molti paesi – spiega Jacqueline McGlade, direttore esecutivo dell’Aea – le concentrazioni di sostanze inquinanti rimangono sopra i limiti legali raccomandati stabiliti per proteggere la salute dei cittadini europei. In effetti l’inquinamento atmosferico riduce l’aspettativa di vita di circa due anni nelle città e nelle regioni più inquinate». I dati raccolti con l’Eurobarometro dovrebbero essere utilizzati dalla Commissione europea nei lavori di revisione, attualmente in corso, della politica dell’Unione in materia di qualità dell’aria, che dovrebbe essere ultimata nella seconda metà del 2013, anno dedicato proprio alla qualità dell’aria.

Intanto sul finire del 2012 è entrata in vigore l’etichetta per gli pneumatici, uno strumento informativo e di controllo che si inserisce nella più ampia strategia che punta da un lato a preservare la salute e la sicurezza dei cittadini e dall’altro a ridurre i consumi e le emissioni. Ma nel vasto e crescente settore della mobilità sostenibile la ricerca va avanti ormai da molti anni e i risultati sono sempre più interessanti. Come sottolineato dal commissario europeo per l’Ambiente, Janez Potočnik, all’obiettivo ecologico si sovrappone quello economico, opportunità che non sfugge alle grandi e piccole aziende che sulla mobilità sostenibile stanno investendo già da tempo.

I traguardi da raggiungere in tema di riduzione dei consumi e degli impatti ambientali sono decisamente impegnativi. Non è quindi pensabile demandarli ad un’ipotetica rivoluzione che sostituisca l’intero parco veicoli circolante e a venire con omologhi a trazione elettrica o a celle di idrogeno. I risultati servono subito e vanno conquistati andando a limare ogni possibile consumo superfluo o processo non funzionale. In questa prospettiva il settore degli pneumatici sta ottenendo risultati importanti, perseguiti attraverso strade eterogenee.

Il primo passo per migliorare l’ecocompatibilità di un prodotto è la comprensione delle sue criticità. I dati relativi all’impatto ambientale globale degli pneumatici “tradizionali” sono stati individuati già nel 2001 grazie ad uno studio condotto dai maggiori fabbricanti europei (“Life Cycle Assessment of an average European car tyre” – Prè Consultants B.V. on behalf of Blic, 2001), che mostra come le fasi di approvvigionamento delle materie prime e di produzione complessivamente determinano il 12% circa dell’impatto totale (rispettivamente per circa il 10% e il 2%), mentre è proprio durante la “vita attiva” che tale percentuale schizza fino a quota 86; in buona parte ciò è dovuto al fatto che in media le gomme contribuiscono al 20% circa del consumo complessivo di un’autovettura (cfr infra). L’ultima fase (raccolta delle gomme esauste e relativo riprocessamento) incide per meno del 3%.

Pneumatici verdi

Il concetto stesso di “pneumatico verde” assume connotazioni anche molto diverse, se si guarda alle varie fasi del suo ciclo di vita, e cioè alla produzione, all’uso e allo smaltimento. Se da un lato può definirsi ecologico uno pneumatico che, grazie a particolari caratteristiche tecniche, consente al veicolo su cui è montato di consumare meno carburante, dall’altro non si può certo trascurare un prodotto la cui attenzione verso l’ambiente è concentrata nella fase di produzione o, ancora, a fine vita. In tutte e tre queste categorie ci sono poi ulteriori varianti. Vediamole più nel dettaglio, iniziando dagli pneumatici di filiera green. In questa grande famiglia troviamo intanto le case produttrici che stanno portando avanti un percorso di riduzione degli impatti nella fase industriale. Uso di energie rinnovabili, riduzione del consumo di acqua e delle emissioni inquinanti, certificazione ambientale degli impianti e delle sedi sono alcune delle azioni intraprese da molte delle più importanti aziende del settore.

Questo percorso si affianca ai grandi investimenti che in tutto il mondo vengono indirizzati sulla ricerca di materiali più sostenibili e lavorazioni innovative ad alta efficienza. Ad esempio, l’introduzione della silice in sostituzione totale o parziale del nerofumo, oltre a portare le prestazioni degli pneumatici verdi allo stesso livello di quelli tradizionali, ha determinato anche un abbattimento di circa l’11% dell’impatto totale e offre una maggiore resistenza che allunga la vita del prodotto (vedi fig. Impatto ambientale). È di questi giorni la notizia che la Solvay investirà 75 milioni di euro in un nuovo impianto per silice ad alta dispersione Zeolis Premium, la cui domanda lo scorso anno è quadruplicata sulla spinta delle nuove norme europee, che impongono una maggiore efficienza energetica degli pneumatici.

Una nuova vita

Si è già visto come, contrariamente a quello che si può pensare, in percentuale, rispetto all’intero ciclo di vita, l’impatto generato dagli pneumatici esausti non è particolarmente gravoso. Ma neanche trascurabile, dal momento che ogni anno a livello globale ne viene venduto un miliardo e mezzo, destinato prima o poi a diventare rifiuto. Esistono delle filiere specifiche che si occupano del recupero e del corretto riciclo di questi scarti (detti Pfu, pneumatici fuori uso). Nel 2010 in Europa sono stati prodotti circa 2,7 milioni di tonnellate di pneumatici ed è stato riciclato il 96% di quelli dismessi. La percentuale residua è utilizzata come combustibile in termovalorizzatori o cementifici al posto del carbone, il cui potere calorifero è inferiore; la percentuale di biomassa, dovuta alla gomma naturale presente nel prodotto, permette una riduzione delle emissioni di biossido di carbonio legate alla combustione.

I numeri dicono però che la quasi totalità del Pfu viene indirizzata al recupero di materia, portandola quindi ad una nuova vita. Una volta dismesse, le gomme vengono sottoposte a specifici trattamenti che trasformano lo scarto in una materia prima seconda: quello che una volta era uno pneumatico rinasce sotto forma di panchina stradale o pista per l’atletica, come isolante per l’edilizia o componente per asfalti speciali e così via (vedi pag 60). Ancora prima di diventare “altro”, gli pneumatici consumati possono ancora essere sfruttati: in parte vengono avviati al riutilizzo su mercati meno esigenti, e in parte vengono ricostruiti con tecnologie specifiche, ma solo se il prodotto possiede ancora le caratteristiche indispensabili per una prestazione sicura ed efficiente.

La quadratura del cerchio(ne)

Come si è visto, la maggior parte dell’impatto ambientale dello pneumatico si sviluppa durante l’utilizzo. Un decimo di questo impatto è dovuto al cosiddetto tyre debris, e cioè il deterioramento causato dall’attrito; a livello internazionale questo fenomeno è ancora in fase di studio, ma si calcola che provochi una consunzione tra il 10 e il 14% dello pneumatico. Il grosso, però, è imputabile al consumo di carburante direttamente connesso al movimento della ruota, la cosiddetta resistenza al rotolamento. Quando il veicolo è in movimento, lo pneumatico si deforma sotto il peso del carico per aderire alla strada: questa deformazione provoca una perdita di energia che si traduce nel riscaldamento della gomma.

L’energia è quella generata dalla combustione del carburante; in questo modo ben un quinto di serbatoio viene dissipato nell’attrito tra lo pneumatico e la strada. La riduzione della resistenza al rotolamento contribuisce quindi a migliorare sensibilmente l’efficienza energetica del trasporto stradale, riducendo così sia le emissioni di CO2, che il consumo di carburante: un bel vantaggio per l’ambiente e per le tasche degli automobilisti e di chi usa un veicolo per lavoro. Il problema non sembra di facile risoluzione. La logica suggerisce che, per diminuire la resistenza al rotolamento, dovrebbe esserci il minor attrito possibile (come ad esempio succede con le gomme lisce usate in Formula uno), ma bisogna tener conto di altre due esigenze, altrettanto importanti: la sicurezza (frenata e tenuta di strada) e la longevità del prodotto.

Proprio su questo rompicapo alcuni produttori hanno concentrato la propria attenzione; come la Michelin, che già vent’anni fa ha lanciato il suo primo pneumatico verde e continua ad indirizzare la sua ricerca su questa fase della vita dello pneumatico, impegnandosi ogni anno in investimenti pari a circa 600 milioni di euro in ricerca e in collaudi su strada che raggiungono la percorrenza di 1,8 miliardi di chilometri, pari a un giro della Terra ogni 12 minuti. I risultati sono visibili oggi nella sua quinta generazione green, prodotti con una nuova mescola che contiene un composto segreto capace di ridurre il riscaldamento, mentre un secondo sottilissimo strato offre la minima resistenza al rotolamento; i nuovi Michelin Energy Saver promettono un risparmio di carburante pari a 60 litri su 45.000 chilometri percorsi (raggiungibili grazie alla maggior longevità) e 140 chilogrammi di CO2 in meno.

Gli altri prodotti verdi sul mercato sembra non siano da meno. Goodyear, con il modello EfficientGrip, annuncia una riduzione del 13% della resistenza al rotolamento e una diminuzione dei consumi dell’1,9%, cifre simili a quelle promesse dalla Continental. Dal canto suo la Pirelli fa vanto dei risultati ottenuti nei test Dekra e Tüv: “Il Cinturato P7 è risultato nettamente il migliore pneumatico ecologico nella sua categoria, grazie alla riduzione dei consumi e quindi delle emissioni di anidride carbonica e alla resa chilometrica, e ai massimi livelli nella sicurezza, particolarmente su asciutto e bagnato. Il Cinturato P6, oltre ad aver confermato le sue caratteristiche ecologiche in termini di risparmio e maggior chilometraggio, è risultato il pneumatico più sicuro nella sua categoria in tutti i test effettuati: aquaplaning, tenuta su asciutto e bagnato e frenata su asciutto e bagnato”.

Costruito con materiali privi di oli aromatici, nocivi per l’ambiente, il Cinturato P7 consente di ridurre del 20% la resistenza al rotolamento e del 4% il consumo di energia, di abbattere del 30% la rumorosità e di ridurre fino a due metri lo spazio di frenata su asciutto e bagnato. Vanno segnalate infine due ulteriori innovazioni che affrontano da un angolo un po’ diverso il problema. La Michelin ha lanciato uno pneumatico prodotto con una speciale gomma in grado di autoripararsi: ciò renderebbe superfluo avere a bordo la ruota di scorta e il cric, e il conseguente alleggerimento del veicolo (di circa 30 chili, pari a 80 litri di volume) va ad incidere su consumo di carburante e produzione di emissioni inquinanti (in città, 1,9 g di CO2 in meno per chilometro).

Invece la Pirelli lo scorso anno ha presentato il Cyber Tyre, lo pneumatico intelligente che, tramite un sensore inserito nella ruota, tiene continuamente sotto controllo le caratteristiche del fondo stradale e la pressione. Viaggiare con le gomme non perfettamente gonfiate rappresenta un problema, troppo spesso sottovalutato, sia per la sicurezza che per il portafogli: infatti causa un aumento del 4% dei consumi, circa 50 euro in più all’anno (su circa 15.000 chilometri), accorcia la vita dello pneumatico fino al 45% e aumenta gli spazi di frenata. Per questo motivo dal 1° novembre scorso per ottenere l’omologazione nell’Unione europea (regolamento comunitario 661 del 2009) le nuove vetture di peso inferiore a 3,5 tonnellate devono montare un Tpms (Tyre Pressure Monitoring System), un dispositivo di monitoraggio della pressione dei pneumatici. Dal 1° novembre 2014 l’obbligo è esteso a tutti i veicoli – stesso peso – immatricolati, cioè venduti a partire da quella data.

Cosa tenere d’occhio

Radiografia di uno pneumatico

Le materie prime
Materie prime costituenti gli impasti e le mescole (tra cui gomme naturali o sintetiche, cariche rinforzanti, plastificanti, ingredienti per la vulcanizzazione, protettivi, quali gli antinvecchianti e gli antiozonanti)
Materie prime costituenti la struttura dello pneumatico (tra cui il filo d’acciaio ramato per i cerchietti, la cordicella di acciaio per il tessuto metallico, i tessuti greggi trattati per i tessuti tessili gommati)
Materie prime ausiliarie, che pur entrando nel processo produttivo non sono costituenti del prodotto finito e sono solitamente considerate “ausiliari di processo” (antiadesivi, distaccanti, soluzioni di attacco…), oltre a una serie di prodotti ausiliari di uso specifico nelle diverse fasi del processo produttivo

I componenti

Il “liner” (innerliner): uno strato di gomma sintetica a perfetta tenuta d’aria che si trova all’interno del pneumatico e funge da camera d’aria
Le tele di carcassa (carcass), strutture portanti del pneumatico composte da sottili fili in fibra tessile (fino a 1.400 per unità) disposti ad arco diritto e gommati, sono considerate gli elementi chiave della struttura ai fini della resistenza alla pressione
Il tallone (bead): composto da un’imbottitura nella zona bassa (Apex), ha il compito di trasmettere la coppia motrice e la coppia frenante dal cerchio all’area di contatto con il suolo
I cerchietti (bead wire), due anelli metallici composti da uno o più fili paralleli gommati attorno ai quali vengono risvoltate le tele di carcassa
I fianchi (sidewall), generalmente costituiti da strisce di gomma molto resistenti a flessioni ripetute e ossidazioni. Oltre che ad assorbire parte delle sollecitazioni dinamiche cui è sottoposto un pneumatico, proteggono e danno consistenza alla carcassa
Le cinture (belt layers), costituite da tele armate con fili d’acciaio sottili ma resistenti, incrociate in obliquo e incollate una sull’altra. L’incrocio con i fili della carcassa forma triangoli indeformabili
La “fascia battistrada” (tread), è la parte posta sopra le cinture che collega il veicolo con la strada. Si ottiene per trafilatura e ha una forma trapezoidale, con la base minore leggermente incavata e sagomata.

(dal sito www.pirelli.com)

 

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L'autore

Stefania Marra

Stefania Marra, giornalista professionista dal 1994, è stata per circa dieci anni caporedattrice della rivista Modus vivendi. Dal 2005 gestisce il modulo pratico di giornalismo al Master di comunicazione ambientale (CTS/Facoltà di Scienze delle comunicazioni Università La Sapienza). Scrive soprattutto di storia sociale dell'alimentazione e di ambiente, settore per il quale ha ricevuto diversi premi giornalistici.


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