Ecologia e riciclo
L’economia circolare sarà decisiva per il futuro dell’industria europea
L'economia circolare, secondo cifre fornite da Re Media, sarebbe un antidoto alla crescente pressione globale sui materiali
Quante volte abbiamo sentito i rappresentanti delle associazioni legate al mondo industriale e imprenditoriale lamentarsi delle normative in materia ambientale? Tantissime e, anche se forse la polemica in questi ultimi anni sembri essersi un po’ attenuata, il retro pensiero dominante è che tutta la legislazione in materia non sia altro che un fastidio o un pericoloso costo economico. Ma in realtà una piena applicazione dei concetti dell’economia circolare (che mira, attraverso un’attenta progettazione di prodotti e processi, a preservare il valore dei prodotti il più a lungo possibile, eliminando il concetto di rifiuto) potrebbe essere un toccasana per le nostre annaspanti economie. In particolare le industrie del Vecchio Continente sono in una posizione di forte vulnerabilità rispetto all’approvvigionamento di alcune materie prime come, ad esempio, i metalli del gruppo del platino, l’indio, il tellurio, il cobalto e le terre rare e, per questo, l’Unione Europea ha già messo in moto una serie di iniziative per ridurre i rischi legati a questo settore.
Lo ha messo in luce un recente convegno organizzato da Re Media ma, in realtà, sono le cifre fornite dalla Commissione Europea a evidenziare una situazione fortemente a rischio, con pochi Paesi che detengono la quasi totalità della produzione nel mondo. Ad esempio, l’estrazione e produzione delle terre rare è concentrata per il 90% in Cina; la stessa percentuale dei metalli del gruppo del platino è detenuta da Russia e Sudafrica; il cobalto è concentrato nella Repubblica Democratica del Congo; il neodimio viene prodotto per il 77% in Brasile. Paesi, tra l’altro, a forte rischio di instabilità politica che, oltre a una volatilità dei prezzi, potrebbero determinare in futuro un corto circuito delle forniture mentre la domanda di materiali critici è in aumento, in particolare per quelli legati allo sviluppo del mercato di prodotti ad alta tecnologia per l’industria low carbon.
La contromisura sarebbe per l’appunto la costruzione di un’economia circolare, capace di creare vantaggi sia dal punto di vista ambientale – alleggerendo la pressione prodotta dalla progressiva espansione delle miniere, delle trivellazioni, della trasformazione dei suoli – che delle imprese: il potenziale di risparmio per l’industria europea che nascerebbe dall’uso di risorse vale 630 milioni di euro all’anno, con un possibile aumento del Pil fino al 3,9% e una riduzione del flussi netti di materiali del 17-24% entro il 2030. Inoltre, l’eliminazione dei rifiuti dalla catena industriale e la riutilizzazione dei materiali consentirebbero di risparmiare sui costi di produzione e gestione del rifiuto. Dai RAEE, ad esempio, è possibile ricavare materie prime seconde strategiche da reimmettere nel ciclo produttivo, consentendo ai materiali di mantenere il loro status di risorse e di guadagnare qualità nel tempo.
“Mentre l’economia tradizionale guarda all’ambiente come a una voce di costo, nell’economia circolare l’abbattimento dell’impatto ambientale diventa un vero e proprio vantaggio competitivo – spiega Danilo Bonato, direttore generale di ReMedia -. Prezzi delle materie prime più stabili, tassi più alti di sviluppo tecnologico grazie all’eco-innovazione, produttività e qualità ambientale del suolo, resilienza e occupazione sono alcuni dei benefici che la penetrazione sensibile dell’economia circolare può portare all’Europa. In particolare, per quanto riguarda le industrie di rigenerazione e riciclo rappresentano già un milione di posti di lavoro in tutto il mondo. Lo sviluppo di questo nuovo modello economico porterebbe una vigorosa crescita di questi numeri”.
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L'autore
Gianluigi Torchiani
Giornalista classe 1981, cagliaritano doc ormai trapiantato a Milano dal 2006. Da diversi anni si interessa del mondo dell’energia e dell'ambiente, con un particolare focus sulle fonti rinnovabili
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