sistema ambiente
I Sioux vincono la prima battaglia
Le tribù indiane di Standing Rock ce l’hanno fatta, dopo mesi di protesta l’oleodotto "Dapl" non passerà per le loro riserve naturali
Le tribù indiane di Standing Rock ce l’hanno fatta, dopo mesi di protesta l’oleodotto Dakota access pipilenine (Dapl) non passerà per le loro riserve naturali, l’Army corps of engineers dell’Esercito USA ha deciso di non autorizzare la costruzione di questo controverso tratto dell’opera, decisione tutt’altro che scontata.
Da quando il progetto è stato presentato per la prima volta, nel 2014, il popolo dei Sioux si è opposto alla costruzione dell’oleodotto principalmente per due motivi: la profanazione delle terre sacre e il rischio che corrono le risorse idriche dalla quale le tribù del luogo dipendono.
I tecnici dell’esercito hanno ritenute valide le motivazioni della protesta, il tracciato della pipeline, infatti, minaccia le riserve d’acqua del luogo che si trovano tra il North Dakota e il South Dakota e per questo hanno ritenuto opportuno bloccare l’opera.
Il Dakota access pipeline è un’opera immensa: lunga circa 2000 chilometri, collegherà i campi petroliferi di Bakken con Patoka nell’Illinois attraversando 50 contee americane. Al momento, è stato realizzato quasi il 90% del progetto e si calcola che verranno trasportati tra i 470 e i 570 mila barili di greggio al giorno quando sarà terminato e messo a pieno regime. La società che ha investito nell’oleodotto è la Energy Transfer che già possiede 114 mila chilometri di oleodotti americani.
Sono più di trecento le tribù di nativi americani che hanno mostrato interesse e sostenuto la battaglia dei Sioux, elemento non di secondo piano come sottolinea la giornalista e attivista Naomi Klein: “è una vittoria rara perché contagiosa, perché dimostra alle persone di tutto il mondo che l’organizzazione e la resistenza possono portare a vincere”. E resistenza è il termine giusto se pensiamo ai 412 manifestanti arrestati nello scorso agosto e alle tensioni con la polizia culminate nei tafferugli di ottobre.
Lotta senza termine
Ma la lotta non è finita. Perché se fino ad ora i Sioux avevano comunque trovato un’amministrazione aperta a discutere di problemi ambientali, dal 20 gennaio cambia tutto. Obama, che in passato si era già opposto alla costruzione di nuovi e giganteschi oleodotti come il Keystone XL, non ha mai nascosto le sue preoccupazioni riguardo i cambiamenti climatici. Il suo successore Trump, invece, è noto per le sue posizioni ostili alle politiche ambientali, afferma che i cambiamenti climatici siano una bufala e un danno per l’economia statunitense e seguendo questa scuola di pensiero sta scegliendo la sua squadra di Governo. È notizia di questi giorni che a dirigere l’EPA (Envirnmental Protection Agency) sarà Scott Pruitt, avvocato repubblicano da sempre vicino al mondo dei fossili, attualmente impegnato con 28 stati americani a far cancellare il Clean Power Plan (il piano di Obama che mira a ridurre le emissioni USA di CO2 del 32% entro il 2040) e che è famoso per frasi del tipo “gli americani sono stufi di vedere milioni di dollari risucchiati dai regolamenti non necessari imposti dall’EPA”. Pruitt potrebbe cercare di smantellare le politiche ambientali messe difficilmente in piedi negli ultimi anni da Obama, a rischio quindi anche la decisione sull’oledotto Dapl. Dal 20 gennaio in poi nulla è sicuro, tutto potrebbe essere stravolto.
I Siuox lo sanno.
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L'autore
Ivan Manzo
Laureato in Economia dell'Ambiente e dello Sviluppo e giornalista per Giornalisti nell’Erba. Houston, we have a problem: #climatechange! La sfida è massimizzare il benessere collettivo attraverso la via della sostenibilità in modo da garantire pari benefici tra generazioni presenti e future. Credo che la buona informazione sia la chiave in grado di aprire la porta del cambiamento. Passioni: molte, forse troppe.
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