consumo zero
Consumo di suolo, i rischi per l’Italia che frana
La presidente dei Geologi della Toscana mette in guardia dai rischi idrogeologici innescati dalla cementificazione edilizia selvaggia, ma anche dall’agricoltura
Photo: Wikimedia
«I rischi idrogeologi non sono legati soltanto alla cementificazione selvaggia ma anche ad un uso generalmente troppo “disinvolto” del territorio, anche in agricoltura». Maria Teresa Fagioli, presidente dell’Ordine dei Geologi della Toscana ritorna sull’argomento consumo di suolo.
E lo fa per mettere in guardia dal pericolo «da edilizia scellerata, ma anche da opere pubbliche, industria ed agricoltura che ignorino la geologia».
L’Italia, ricorda l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) è uno dei paesi europei maggiormente interessati da fenomeni franosi. Ogni anno più di un migliaio di frane colpiscono il territorio nazionale e circa un milione di persone è esposta al rischio. Aggiungiamoci poi la popolazione esposta a rischio alluvioni: circa 7 milioni di persone, tra abitanti nello scenario di “pericolosità idraulica elevata (tempo di ritorno fra 20 e 50 anni)” e nello scenario di pericolosità media (tempo di ritorno fra 100 e 200 anni)”.
Anche l’Anbi (Associazione Nazionale Consorzi Gestione Tutela Territorio ed Acque Irrigue), elaborando dati del ministero dell’Ambiente, ha fatto una stima altrettanto preoccupante: quasi sette su dieci Comuni italiani (per la precisione il 68,9%, pari a 5.581 Comuni) sono esposti a frane e dissesto del territorio.
Ma torniamo alla Toscana, regione che registra una percentuale media di consumo di suolo leggermente inferiore alla media nazionale (7%), con il 6,2% di territorio cementificato. La presidente dei geologi toscani va oltre il dato e pone l’accento sul rischio connaturato non solo dalla cementificazione selvaggia: «Anche una sola villetta su un pendio sensibile può farlo franare disastrosamente se i suoi scarichi non sono ben progettati, eseguiti e manutenuti. Ma anche una progettazione agronomica troppo disinvolta, vedi mega movimenti terra e colline artificiali, (tipici del menefreghismo degli speculatori dei “marchi DOP”) può devastare grandi territori. Non è la dimensione di un intervento né la sua finalità “agricola” che ne garantisce la sostenibilità a priori. Per prevenire e difendersi bisogna prima di tutto capire, e ricordiamoci che per capire e prevedere cosa succede sul suolo è indispensabile conoscere e capire ciò che ci sta sotto e cioè il “sottosuolo”».
Cosa fare per riuscire a invertire una situazione certamente seria? «Non si deve consumare suolo certo, ma io andrei oltre, si deve liberare suolo inutilmente impermeabilizzato o occupato con opere inutili. Non ha alcun senso progettare difese che costano ordini di grandezza di più di quanto valga ciò che si vuol difendere, anche se l’operazione incrementa il Pil. Liberare quindi suolo per poterne impiegare altro in aree non a rischio è una questione da dibattere, ma non è da dibattere il fatto che spesso certe opere sono indifendibili ed oltre che consumare suolo consumano anche risorse spendibili più proficuamente».
Da qui, Fagioli cerca anche rimedi, anche se ammette che «non esistono “soluzioni facili” o peggio ancora standardizzabili a largo raggio, quando si parla di un territorio di cui si è abusato per decine di anni e la situazione è generalmente degradata». Certo che «uno stop alla cementificazione è d’obbligo. Ma l’esperienza purtroppo insegna che i divieti generalizzati non reggono a lungo se non sono basati su conoscenza attenta e puntuale delle situazioni locali. Ad una legge di limitazione del consumo del suolo vanno affiancate altre iniziative che facilitino e spingano alla conoscenza delle problematiche geologiche, idrogeologiche, sismiche e geotecniche del territorio».
E va a citare la legge dedicata (attualmente il ddl è stato approvato dalle commissioni Ambiente e Agricoltura della Camera) , che è la «benvenuta» ma ribadisce che una legge da sola non basta. «La legge sul consumo del suolo (quando e se ci sarà) è solo un primo tassello. Certamente aiuta ma da sola è assolutamente insufficiente a riportare in carreggiata una politica del territorio deragliata da decenni. Quando per oltre cinquant’anni si sono cementificati integralmente tratti di costa ed alvei torrentizi, si sono lottizzate ed edificate aree in frana e si è condonato non soli i piccoli abusi di necessità, ma interi quartieri, aree industriali, finanche grandi centri commerciali, non si ha più diritto di stupirsi né indignarsi per i prevedibili e previsti disastri».
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L'autore
Andrea Ballocchi
Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.
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