nuova frontiera
Shale gas, l’outsider energetico
Negli Usa il gas di scisto fa volare l’economia, in Europa non ci sono regole chiare e ogni Paese è storia a sé. Come l’Italia
Photo: L
Lo shale gas è stata una fonte energetica trascurata o poco considerata fino a non molti anni fa. Ora sta vivendo una fase di autentico boom, specie negli Stati Uniti come dimostrano due rapporti, uno della British Petroleum e uno società di consulenza BDO Usa, in cui emerge in tutta chiarezza la sua importanza crescente.
Secondo il rapporto BP, il gas estratto da scisti bituminosi, insieme al petrolio renderà gli Stati Uniti autosufficienti entro il 2030. Non solo: lo sfruttamento di fonti alternative quali le scisti bituminose statunitensi (stimate in 50 miliardi di barili), le sabbie bituminose canadesi e l’estrazione in acque profonde brasiliane, porterebbero rapidamente all’autosufficienza il continente americano. Secondo il rapporto della BDO Usa nel 2012 lo shale gas in Nord America continuerà ad attirare nuovi capitali alimentando una nuova ondata di fusioni ed acquisizioni. La società di consulenza ha interpellato i 100 CFO delle principali compagnie del settore: tra di essi il 40% ha annunciato una crescita degli investimenti nei giacimenti non convenzionali a partire da quelli di shale.
L’autentico boom vissuto dal settore è bene rappresentato dall’andamento della Halliburton, la più grande società al mondo di servizi petroliferi, che nel quarto trimestre del 2011 ha visto balzare al 50% l’utile netto proprio grazie alla la vendita di tecnologie per l’estrazione di petrolio e gas non convenzionali, soprattutto shale gas e shale oil.
Lo shale gas in Europa
Questo per quanto riguarda gli Stati Uniti. In Europa la questione è un po’ differente: pur con le incoraggianti stime sulle riserve che ammonterebbero a 92 miliardi di barili di petrolio, a oggi non esistono norme precise che regolamentino l’attività. Inoltre nei diversi Paesi emergono posizioni contrastanti: da una parte la Polonia, che forte del fatto di poter contare sui maggiori giacimenti europei vive male lo stallo normativo. Tanto che il governo polacco ha dichiarato pochi giorni fa che “non ci sono le condizioni per poter negare il diritto delle ricerche; inoltre le attuali regole dell’Unione Europea garantiscono sufficienti controlli e sicurezza per questi lavori”. La dichiarazione è giunta in seguito all’iniziativa di un gruppo di eurodeputati che aveva cominciato a raccogliere firme al Parlamento Europeo per introdurre la moratoria, cioè la sospensione, dei lavori di ricerca e dei permessi rilasciati nei paesi membri.
Se in Polonia lo shale gas è benedetto da governo e opposizione, in Francia l’anno scorso il Parlamento ha votato per la messa al bando delle pratiche estrattive dello shale gas con il cosiddetto fracking, metodo di idrofratturazione delle rocce che consiste nello sparare ad alta pressione acqua con alcuni additivi chimici, in modo da far uscire il gas. Una tecnica con molti risvolti nocivi all’ambiente, come ha rilevato recentemente Davide Scrocca, dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Cnr, secondo cui “bisogna porre attenzione al trattamento delle acque utilizzate per l’estrazione”. Si tratta, infatti, di acque che, a fine processo, “risultano contaminate da idrocarburi e quindi richiedono dei trattamenti speciali”. Il rischio è quello di inquinare le falde acquifere. Come la Francia, anche il governo della Bulgaria ha deciso di mettere al bando questa tecnica.
Cosa accade in Italia
Le parole dello scienziato italiano conducono il pensiero proprio al nostro Paese dove a parere dell’ad Eni, Paolo Scaroni, “lo shale gas in un Paese antropizzato come il nostro non lo vedo di facile utilizzazione”. Concordò con lui non più tardi di un anno fa l’allora sottosegretario allo Sviluppo economico Stefano Saglia. Difatti in Italia di esplorazioni, propedeutiche all’estrazione del gas non se ne ha notizia in qualità di shale gas mentre ce n’è almeno una relativa alla tecnologia Coal Bed Methane (CBM), che rientra tra i gas non convenzionali come il gas di scisto: si tratta del progetto “Fiume Bruna”, ideato dalla società del Regno Unito Independent Resources, che consiste appunto nell’estrazione a bassa pressione del metano contenuto negli strati di carbone. Tale tecnologia, a differenza dello shale, non richiede l’aggiunta di solventi per far fluire il gas di produzione ed è meno impattante per l’ambiente.
Il progetto è in questo momento alla fase esplorativa, autorizzata dal ministero dello Sviluppo economico nel 2008 – nella zona del comune di Roccastrada (Grosseto). La società ha investito 6 milioni solo per questa prima fase; una volta giunto l’ok ministeriale per condurre il progetto alla fase estrattiva, sono previsti altri 50 milioni di euro per condurre in porto il progetto per cui la produzione attesa è di circa 3,6 miliardi di metri cubi in un periodo di circa 30 anni, sufficiente a soddisfare il fabbisogno di 80.000 famiglie.
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L'autore
Andrea Ballocchi
Andrea Ballocchi, giornalista e redattore free lance. Collabora con diversi siti dedicati a energie rinnovabili e tradizionali e all'ambiente. Lavora inoltre come copywriter e si occupa di redazione nel settore librario. Vive in provincia di Milano.
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tonibx
scrive il 03 febbraio 2012 alle ore 13:27
Va posto l'accento sull'impatto ambientale di queste tecnologie di estrazione dagli strati bituminosi o scistosi. La quantitá di solventi chimici, l'acqua, lo sbancamento di miliardi di m³ comportano la distruzione di intere regioni per ottenere gas e petrolio di pessima qualitá. Non a caso anche in Canada la popolazione osteggia duramente gli impianti. Questa non é certo un'energia alternativa, ma raschiare il fondo bruciacchiato della padella.
Andrea Ricci
scrive il 04 febbraio 2012 alle ore 17:35
Concordo con tonibx. Ho assistito a proteste della popolazione nel centro della Francia contro questa devastazione del territorio e delle falde acquifere. Il dato dell'impegno di Halliburton nel settore, cioè della società che ha beneficiato dei più grandi appalti durante la guerra in Iraq e per cui ha lavorato l'ex vicepresidente guerrafondaio Dick Cheney, quindi di una società senza scrupoli e dalle infinite risorse, dovrebbe da solo mettere tutti in guardia.
Luigi Dell'Olio
scrive il 06 febbraio 2012 alle ore 11:16
grazie per il commento. nei prossimi giorni torneremo ancora sul tema che sta interessando, ma anche dividendo, gli operatori del settore e gli interessati ai temi della sostenibilità