Nanotecnologie per l’energia solare: imitare le foglie
Il Mit si ispira alla fotosintesi clorofilliana per ricerche di frontiera. Mentre arrivano in produzione celle flessibili grazie ai risultati del solare organico e del film sottile
Photo: polo ChoseTor Vergata
La natura ispira ricerche di frontiera per la generazione di energia elettrica a partire dalla luce del sole. Dai laboratori arrivano esperimenti per applicazioni innovative delle nanotecnologie che imitano i risultati raggiunti dall’evoluzione biologica. E permetteranno di cambiare radicalmente i processi produttivi.
Proteine, lipidi e nanotubi di carbonio sono i principali componenti di un dispositivo progettato dal Mit in grado di imitare la fotosintesi clorofilliana delle piante. Semplificando, nell’esperimento pubblicato su Nature Chemstry la luce colpisce due tipi di proteine: gli elettroni liberati attraversano i lipidi e vengono trasportati mediante i nanotubi di carbonio.
In particolare, i componenti del dispositivo sono in grado di autoassemblarsi: non è necessario “montarli”, ma si avvicinano spontaneamente all’interno di una soluzione, quando si presentano le condizioni opportune, determinate attraverso un solvente. Inoltre, i ricercatori hanno progettato un ciclo di autoriparazione che limita l’effetto usurante del sole. Il Mit sostiene che l’efficienza raggiunta è pari al 30%, ma si tratta comunque di risultati ottenuti in laboratorio.
Le proteine fluorescenti verdi (gfp) contenute nelle meduse bioluminescenti “Aequorea victoria”, invece, sono state estratte da un team dell’università di Goteborg per dimostrarne la capacità di convertire la luce in energia all’interno di una minicella con due strati di diossido di silicio. Ma la strada è ancora lunga per applicazioni tecnologiche.
Alle foglie sono ispirate anche le ricerche sul solare di terza generazione che hanno già ricadute industriali per la produzione di celle flessibili, colorate e ultrasottili. La chiave di volta è nelle nanotecnologie. Di recente il Millennium Prize (l’equivalente finlandese di un Nobel in campo tecnologico) è stato assegnato a Michael Graetzel, inventore delle celle Dssc (Dye sensitised solar cells): sono dispositivi che utilizzano coloranti (anche organici, come il succo di mirtilli) e strati di biossido di titanio per catturare la luce solare e convertirla in energia.
Sulle celle “plastiche” di terza generazione (tutte organiche), invece, puntano aziende come Konarka: dopo aver lanciato borse da viaggio alimentate da minicelle in polimeri, ora sperimenta vetri che convertono la luce in energia elettrica. I colossi Basf e Bosch finanziano la tedesca Heliatek per fabbricare celle “plastiche” su supporti flessibili. Di Heliatek sarà forse la prima fabbrica di moduli a fotovoltaico organico (appena annunciata e prevista per metà 2011).
Osserva Thomas Brown, cofondatore del Polo Chose e professore associato al dipartimento di ingegneria elettronica dell’università di Roma Tor Vergata: “Sono tre i principali vantaggi del solare di terza generazione: la facilità di deposizione, attraverso l’evaporazione su larghe aree o molecole organiche disciolte in solventi, la possibilità di una sintesi chimica che permette di controllare le proprietà optoelettroniche e un grado di purezza inferiore ai semiconduttori”. In Gran Bretagna l’Advanced Pv Accelerator è una struttura impegnata nella produzione di celle plastiche a basso costo: ha lanciato un programma con l’obiettivo di raggiungere un’efficienza industriale dell’8% in cinque anni.
Anche la seconda generazione di fotovoltaico (film sottile) punta sulla flessibilità. Nei giorni scorsi, SoloPower è stata la prima a ottenere una certificazione di sicurezza UL (uno standard internazionale) per le celle cigs (rame, indio, gallio, diseleniuro) flessibili: sono progettate per l’installazione sui tetti. Lavora su una tecnologia simile anche Globalsolar.
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L'autore
Luca Dello Iacovo
Giornalista freelance, collabora con "Nòva-Il Sole 24 Ore". Segue l'evoluzione del mondo di internet e le frontiere della sostenibilità.
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