Metalli troppo rari, innovare per farne a meno
Alcuni metalli, ora usati in alcune tecnologie per le energie rinnovabili, diventeranno introvabili. Si studiano soluzioni innovative.
I laboratori di ricerca mondiali studiano le prime soluzioni a un problema emergente: alcuni metalli, utilizzati nell’ambito delle energie rinnovabili, stanno per diventare ancora più rari. Tra gli altri, indio, gallio, platino, tantalio. A sollevare la questione è un rapporto dell’Unione Europea.
Entro il 2030 la domanda per elementi quasi introvabili aumenterà di tre volte. Con un impatto su alcune tecnologie per l’utilizzo delle energie rinnovabili, identificate nello studio dell’Ue.
Ma è proprio l’esigenza di sviluppare alternative ad alimentare la ricerca e lo sviluppo di soluzioni innovative. A partire dall’industria del riciclo e dai laboratori universitari in Europa. Altrimenti, secondo il rapporto, sarà necessario esplorare in profondità la costa terrestre: per adesso le perforazioni marine non superano in genere i 200 metri al di sotto dei fondali, e la miniera record arriva a quattro chilometri dalla superficie.
Ma quali sono nei prossimi anni le conseguenze della scarsità? Indio e gallio vengono utilizzati per la produzione di impianti fotovoltaici a “film sottile”: si tratta di pellicole costruite su dimensioni nanometriche (cioè in una scala di un miliardesimo di metro) che permettono di assorbire un intervallo di lunghezze d’onda maggiore rispetto al silicio delle celle solari tradizionali. Ma ad esportarli è quasi esclusivamente la Cina. “Esiste un collo di bottiglia all’origine: il problema è legato alla sicurezza degli approvvigionamenti, più che alla disponibilità. Ma visti i prezzi del silicio adesso, l’esplosione delle tecnologie a film sottile sarà più difficile”, dice Nicola Baggio, consulente di Aper, l’Associazione per le energie rinnovabili. In particolare, nel caso del semiconduttore impiegato anche nella fabbricazione di microchip non si pone il problema di scarsità. Ma in Italia la filiera è incompleta proprio a monte: esistono unicamente due impianti per la produzione di “polysilicon”, a Merano e a Novara, entrambi gestiti dal colosso statunitense Memc.
La crisi economica per il momento ha fatto accantonare tre progetti in Italia di grandi strutture per la “raffinazione” del silicio, previsti da Silfab, Estelux e Italsilicon: insieme avrebbero portato nelle imprese italiane 9500 tonnellate di materie prime per la fabbricazione di celle e moduli. Per il 2015 è previsto che inizierà a crescere il volume di dismissione dei vecchi pannelli fotovoltaici, a partire da un ciclo di vita atteso di 25 anni. Punta su questa soglia Pv Cycle, un consorzio che vuole acquisire gli impianti non più efficienti e riutilizzarne vetro, alluminio e semiconduttori. Per adesso i membri sono ottanta.
E il platino? È un problema sentito nell’industria della catalisi, soprattutto per le celle a combustibile (“fuel cell”) alimentate a idrogeno liquido. Ma a breve non sarà significativo: le aziende puntano a ridurre o a sostituire il platino”, osserva Paolo Fracas, amministratore delegato di Genport e membro dell’Associazione italiana idrogeno e celle a combustibile (H2it). Anzi, in Toscana una società, Acta Energy, ha sviluppato fuel cell che non impiegano “metalli nobili”, come appunto il platino: è quotata sul listino Aim (dedicato alle piccole imprese) del London Stock Exchange e ha appena varato un tender alimentato da fuel cell. Intanto in Germania sono attive aziende per il riciclo del platino, spesso collegate con multinazionali: chiudono in questo modo il ciclo della filiera. A detenere le maggiori riserve stimate del metallo raro utilizzato anche per le marmitte catalitiche è la Russia.
Quella del tantalio è un’altra storia. È ricavato dal sottosuolo della Repubblica democratica del Congo e dal Brasile. È un componente chiave per la produzione di una classe di condensatori, impiegati nell’industria elettronica. Ma la filiera dell’hardware informatico per la produzione destinata a mercati di massa si è spostata soprattutto in Estremo Oriente. Con alcune eccezioni anche in Italia, come il gruppo bolognese Arcotronics. Ma la ricerca scientifica promette di cambiare le carte in tavola: già adesso alcuni microcondensatori costruiti in laboratorio possono sostituire le batterie tradizionali in dispositivi elettronici di piccole dimensioni, come dimostrano le ricerche dell’Istituto di nanotecnologie di Drexel pubblicate sul settimanale Science.
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L'autore
Luca Dello Iacovo
Giornalista freelance, collabora con "Nòva-Il Sole 24 Ore". Segue l'evoluzione del mondo di internet e le frontiere della sostenibilità.
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