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La riqualificazione urbana passa per gli interventi sull’efficienza energetica

Fino ad oggi la domanda di costruzioni ha puntato sul breve termine, ma ora occorre cambiare rotta

Scritto da il 08 luglio 2011 alle 8:49 | 0 commenti

La riqualificazione urbana passa per gli interventi sull’efficienza energetica

La necessità di concentrare le risorse nella riqualificazione urbana del patrimonio esistente, più che nella demolizione e ricostruzione di parti della città, nasce da alcune considerazioni di carattere economico, prima ancora che da quelle di ordine sociale, urbanistico e ambientale più volte esplicitate anche nel corso dell’ultima campagna elettorale.

La capacità di attivazione della domanda immobiliare nell’economia
È innegabile che l’apporto del settore costruzioni allo sviluppo del Pil italiano nel decennio d’oro del ciclo immobiliare 1998-2007 sia stato determinante: in quel periodo, infatti, il prodotto nazionale è cresciuto del 13,6%, mentre la crescita del settore delle costruzioni è stata circa doppia (attestandosi al 26%). Nel 2009 l’apporto dato all’economia nazionale dalla domanda immobiliare (con particolare riferimento all’impatto sui settori finanziari e sulle costruzioni) è risultata pari al 5,7% della produzione complessiva. Un effetto moltiplicatore straordinario che, trascurando alcune considerazioni precipue del settore immobiliare, spingerebbe nel prossimo futuro qualsiasi policy maker a coagulare il più possibile i capitali pubblici e privati verso il settore delle costruzioni. E gli ormai quattro annunci dei “piani casa” ne sono la testimonianza lampante.

Il motore di sviluppo della riqualificazione urbana
Secondo alcune elaborazioni che Nomisma pubblicherà nel prossimo Rapporto sulla Finanza Immobiliare (che verrà presentato il prossimo 22 giugno presso la sede dell’Associazione Bancaria Italiana a Roma), non soltanto la capacità di attivazione della domanda di nuove costruzioni nei confronti di un’economia italiana stagnante si va sempre più riducendo, ma essa risulterebbe un puro esercizio teorico di macroeconomia se non opportunamente controbilanciata dall’esplicitazione di alcuni fattori legati a come è organizzata l’offerta immobiliare e all’impatto che essa genera sul territorio. Per il settore immobiliare, quindi, non si può ragionare solo sulla capacità della domanda di attivare valore aggiunto (in termini di nuova produzione e occupazione), escludendo alcuni elementi cruciali: le esternalità negative, ovvero il fatto che l’eccessiva produzione edilizia implichi, per esempio, un eccessivo consumo del territorio; una domanda “finita” e l’effettiva capacità di assorbimento (in tutte le principali città italiane, tra i dossier sul tavolo dei nuovi sindaci c’è sicuramente quello dell’enorme quantità di invenduto o, in altro parole, i riflessi di ciò che si è costruito senza fare i conti con l’evoluzione della domanda di case); e, infine, la consapevolezza che nell’ultimo quindicennio la leva immobiliare è stata fin troppo “stressata” per creare nuovo prodotto e nuova occupazione, quasi come fosse un surrogato di una politica keynesiana, costruita con capitali privati e avallo pubblico.
In aggiunta, se gli interventi di demolizione e ricostruzione di parti delle città potranno essere di entità molto limitata in futuro per via degli impatti  urbanistici e ambientali che essi comportano, nonché degli elevati costi che non paiono alla portata delle casse pubbliche, il terreno della riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, soprattutto in tema energetico, parrebbe essere l’unica strada attuabile e sostenibile, oltre che l’opportunità di migliorare la qualità urbana e sostenerne, indirettamente, i valori immobiliari sottostanti.

Il caso di Bologna
È opportuno segnalare alcuni risultati emersi da uno studio condotto qualche anno fa Nomisma sul patrimonio abitativo esistente nella provincia di Bologna, secondo cui circa l’80% degli edifici residenziali risulta essere realizzata prima del 1991, anno di emanazione della Legge 10, considerata la prima norma di riferimento per quanto concerne l’efficienza energetica.

  Epoca di costruzione
  Prima del 1919 Dal 1919 
al 1945 Dal 1946 
al 1961 Dal 1962 
al 1971 Dal 1972
 al 1981 Dal 1982 
al 1991 Dopo 
il 1991 Totale
Bologna 27.674 28.889 68.001 39.123 16.550 6.501 7.814 194.552
Altri Comuni 30.695 20.762 35.733 50.619 53.349 34.922 34.460 260.540
Totale provincia 58.369 49.651 103.734 89.742 69.899 41.423 42.274 455.092
% Bologna 14,2 14,8 35,0 20,1 8,5 3,3 4,0 100,00
% altri Comuni 11,8 8,0 13,7 19,4 20,5 13,4 13,2 100,00

Fonte: Elaborazioni Nomisma su dati Istat.

Un fabbisogno energetico massiccio – nei Paesi avanzati quasi i due terzi di tutta l’elettricità utilizzata oggi è consumata dagli edifici commerciali e residenziali – che sta spingendo proprietari e costruttori a correre al riparo. Secondo la stessa Cooperativa Murri, per esempio, gli edifici della provincia di Bologna possono essere agevolmente riqualificati e portati in una classe energetica efficiente (la classe B della Regione Emilia-Romagna), passando da un fabbisogno di 180 KWh/mq all’anno ad un fabbisogno di 50 KWh/mq, senza effettuare interventi invasivi, lavorando soltanto sugli involucri degli edifici, sugli isolamenti, sugli infissi e sulle centrali termiche.
Questo non è un modo per ridurre le esternalità negative e la spesa energetica complessiva, e quindi decurtare il Prodotto Interno Lordo tout court, ma la via maestra per sprigionare nuove leve d’investimento e nuovi legami diretti e indiretti (indotto), ormai indeboliti dalla domanda tradizionale immobiliare, capaci di attivare un effetto moltiplicatore interessante per “nuove economie in cerca di città” e un’auspicata crescita economica complessiva sostenibile.


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L'autore

Marco Marcatili

Analista economico e giornalista, nato a Fermo e residente a Bologna. Collabora con Nomisma e Il Sole 24 Ore e conduce la trasmissione Il Caffè Economico su Radio Aut Marche.


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