Cinque azioni urgenti per difenderci dalle alluvioni
Cinque azioni urgenti per difenderci dalle alluvioni: il dissesto nasce dalla malagestione.
Il dissesto nasce dalla malagestione
Roma, 2 novembre 2010
La causa principale del diffuso dissesto idrogeologico è la quotidiana “malagestione” dei fiumi e dei versanti, non tanto il fatto che in poche ore in molte parti d’Italia è caduta l’acqua che sarebbe dovuta cadere in un mese. Le intense piogge di questi giorni non bastano infatti a giustificare il continuo stato di calamità naturale in cui si trova il nostro territorio.
Per risolvere il problema è ’ necessario superare la logica emergenziale d’intervento e per questo il WWF ritiene fondamentale e urgente:
- Istituire le Autorità di distretto, come previsto dalle direttive europee (dir 2000/60/CE “Acque”, 2007/60/CE “Rischio alluvionale”), conferendo loro un ruolo vincolante per il coordinamento delle misure e degli interventi di difesa del suolo e di qualità delle acque a livello di bacino idrografico;
- riferirsi al bacino idrografico – e non ai confini amministrativi delle Regioni – per qualsiasi programma di difesa del suolo, manutenzione del territorio e di tutela e gestione delle acque;
- Ripristinare i finanziamenti ordinari per la difesa del suolo drasticamente tagliati anche nell’ultima finanziaria;
- Garantire l’interdisciplinarietà nella progettazione delle misure e degli interventi di difesa del suolo: la solo ingegneria idraulica, infatti, è totalmente insufficiente ed è necessario progettare anche con competenze di idrogeologia, ecologia, scienze forestali, pianificazione….
- Avviare un’azione diffusa di rinaturazione del territorio –come sta avvenendo nei più grandi bacini europei come la Loira, il Reno, il Danubio, la Drava… - basata sul recupero della capacità di ritenzione delle acque in montagna (rimboschimenti, governo delle foreste sostenibile) e sul recupero delle aree di esondazione naturale in pianura (ampliamento delle aree golenali, ripristino e ricostruzione zone umide….)
Queste cinque azioni se portate avanti in modo serio possono contribuire ridurre drasticamente il rischio idraulico in Italia.
Qui i Comuni infatti continuano a costruire o a prevedere urbanizzazioni nelle naturali aree di esondazione dei fiumi togliendo lo spazio vitale alle acque. S’impermeabilizza il territorio e l’alveo dei corsi d’acqua viene ristretto e canalizzato, spesso, fin dalle sorgenti; la vegetazione ripariale, che difende le sponde dall’erosione e rallenta la furia delle acque, viene regolarmente tagliata; i boschi in montagna non sono governati, ma sono abbandonati o sfruttati all’eccesso perdendo l’importante capacità di trattenere le acque nel terreno.
Il WWF Italia quest’anno ha avviato una campagna “Liberafiumi” dalla quale è purtroppo emerso un quadro allarmante: vi sono tratti di fiumi in gran parte canalizzati e tra questi il Lambro e il Seveso che ancora una volta hanno messo in ginocchio interi quartieri di Milano (la città dell’EXPO), piuttosto che l’Oreto in Sicilia, o il Sangro in Abruzzo. Molti corsi d’acqua sono sbarrati o interrotti come l’Agri in Basilicata nel quale in pochi chilometri sono presenti 74 tra briglie e sbarramenti. Ma anche l’Adda, il Tevere e il Po stesso presentano tratti canalizzati anche in zone non urbanizzate, dove il fiume potrebbe espandersi e distribuire la propria energia, evitando di farlo all’interno dei centri abitati. Il Chiese, in Lombardia, ha allagato vari centri abitati, costringendo la popolazione a lasciare le case; ma una delle poche valvole di sfogo di quel fiume è un’Oasi del WWF, la riserva naturale Le Bine (MN) , dove una zona umida posta in un’ampia zona golenale dell’Oglio – poche centinaia di metri a valle dell’entrata del Chiese in Oglio - consente al fiume di espandersi naturalmente e riducendo la forza. Lo stesso avviene in altre due zone gestite dal WWF tra S.Giuliano Milanese e Melegnano, dove il Lambro può trovare un po’ di naturale sfogo e, quindi, a ridurre eventuali danni nei centri abitati che attraversa.
Purtroppo stiamo anche pagando il conflitto tra Stato e Regioni sulle competenze sulla difesa del suolo che paralizza l’applicazione corretta delle direttive europee che dovrebbero garantire sicurezza e tutela delle acque (dir 2000/60/CE “Acque”, 2007/60/CE “Rischio alluvionale”).