Saie 2010, l’innovazione italiana ha il respiro corto
Ecco le principali novità presenti al Saie 2010, appena conclusosi a Bologna. Focus su energia e sostenibilità, ma in Italia manca la visione a lungo termine
La nuova edizione del Saie il Salone dell’Edilizia di Bologna si è concentrata su tre grandi aree tematiche: sostenibilità, produzione e servizi – e due parole chiave: innovazione e integrazione. La fiera si è chiusa sabato con una nota positiva: i visitatori sono cresciuti dell’1% (non male, di questi tempi), a quota 168 mila. C’eravamo anche noi (qui la nostra copertura dell’evento), a spasso tra le tre aree, che sono state completate dai saloni tematici esistenti – LATERSAIE, SAIEBIT, SAIELEGNO, SAIE NEW STONE AGE DESIGN, SAIENERGIA, SAIECANTIERE, SAIEPRECAST e SAIECONCRETE. Ognuna ha presentato una “Piazza”, uno spazio aperto alla discussione e alle attività dove espositori e visitatori si sono incontrati per fare il punto su alcune tendenze più attuali nel settore.
Visto dalla prospettiva del Saie, il futuro si tinge di verde e di giovani come dimostra il concorso SAIESELECTION2010 nella sezione SAIENERGIA&SOSTENIBILITA’ - sul tema “Soluzioni Innovative sostenibili ad elevata integrazione architettonica” che ha visto giovani architetti under 40 e studenti cimentarsi in progetti in grado di coniugare il design con l’innovazione dei materiali. Il tutto in mostra per quattro giorni a beneficio degli studenti che, in una serie di workshop quotidiani, hanno potuto studiare e discutere di un nuovo modello di politica urbana sostenibile.
Lo stesso tema è stato anche al centro del dibattito a seguito della premiazione dei vincitori del concorso: tutti stranieri tranne uno nella categoria studenti (il progetto “Earthquake Housing” di Giulio Asso e Caterina Mendolicchio, entrambi dell’Università IUAV di Venezia, che ha vinto nella sezione studenti per la categoria Legno).
Stupisce che la patria del design non sia riuscita ad esprimere nessun progetto nella sezione giovani architetti e che, su otto vincitori nella due categorie, ben cinque vengano da Paesi emergenti come India, Malesia, Bulgaria, Polonia e Israele: sinonimo che i giovani sono uguali a tutte le latitudini e che i temi dell’ambiente e del cambiamento sostenibile sono condivisi in ogni angolo della terra.
Tuttavia, le indicazioni per il Bel Paese sono chiare: il design e l’innovazione non parlano più italiano, almeno non nella madrepatria. I motivi sono molteplici e passano per i tre assi portanti di una nazione: l’istruzione, la ricerca e le indicazioni politiche i materia di urbanistica.
Partendo dall’ultimo asse, che non considera l’architettura una priorità e la associa, invece, alla speculazione immobiliare rendendola un semplice mezzo per “fare soldi” e non, come dovrebbe, lo specchio spirituale della nazione, è facile risalire agli altri due assi dell’equazione: la cronica mancanza di fondi per la ricerca e l’arretratezza dei piani di studio delle Università.
Oggi, la maggior parte della ricerca sull’innovazione dei materiali è affidata alle aziende che, pur essendo encomiabili, portano avanti una ricerca applicata, volta all’innovazione immediatamente utilizzabile e non fanno, invece, ricerca di base con progetti a lungo termine (compito che dovrebbe spettare a centri finanziati con il denaro pubblico, come in ogni altra nazione moderna). Questo implica che nuovi progetti di integrazione tra design e materiali vengano per lo più finanziati dalle aziende a scopo di lucro o di propria immagine e non per donare nuova linfa vitale agli spazi pubblici.
Lo stesso dicasi per l’Università che dovrebbe aiutare i giovani a sperimentare e cercare strade alternative nel risolvere problemi architettonici. In pratica, invece, l’università italiana non si pone “buone” domande: preferisce seguire una tradizione collaudata anche a scapito dei giovani talenti.
Oggi, in ogni caso, la sfida è aperta: l’Unione Europea ha già definito i nuovi criteri architettonici impostando una serie di requisiti per rispondere alla domanda fondamentale su quale tipo di architettura meglio corrisponda ai nuovi bisogni ambientali. Gli Stati e i Governi si stanno attrezzando con bandi e concorsi che hanno recepito queste indicazioni. L’Italia, però, non è tra questi: le nostre istituzioni preferiscono non aprirsi alle avanguardie e alla possibilità di sperimentare in libertà. “E’ una questione culturale e, come tale, necessita di tempo per crescere ed espandersi – spiega Mario Cucinella, Presidente della giuria di SAIESELECTION2010 e
organizzatore del fermento di workshop e meeting della Piazza dell’Energia – Il rischio, tuttavia, è che l’Italia si ritrovi fuori tempo massimo per attuare il cambiamento e debba prima o poi subirlo – parzialmente o completamente – dall’Estero”.
In sostanza, si tratta di decidere se accettare o meno la sfida che abbiamo davanti e scegliere se guidare il cambiamento, dettando i modi e verificando i tempi, oppure subirlo con le inevitabili richieste che arriveranno dai giovani e che, se non troveranno risposte soddisfacenti qui, si sposteranno altrove, con i conseguente esodo di talento e know-how che già vediamo in altri settori del nostro sistema culturale.
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L'autore
Liliana Bossi
Liliana è giornalista pubblicista alla fine degli anni 90. Dal 2002 è iscritta all’Albo dei Giornalisti della Lombardia e collaboratrice de Il Sole24ore.com/job24. Si interessa di problematiche legate all’ambiente sociale e lavorativo oltre ad avere una passione per la tecnologia industriale e i suoi sviluppi ecocompatibili.
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