Prati da parati
Tecnologie semplici e innovative per far crescere il verde in qualunque direzione: da Tecology a PerliGarden a Euroambiente, tanti progetti italiani
Giardini verticali. Pensati per realizzare barriere antirumore verdi in opere infrastrutturali. È quello che si è messo in testa di realizzare un’azienda di Pistoia, la Euroambiente, azienda di punta nel settore del verde pensile. Il progetto, portato avanti insieme alla multinazionale del ferro Maccaferri consiste in strutture completamente nuove nella concezione, di un massimo di quattro metri di altezza per due metri di base, che consentono l’inserimento e il mantenimento di piante sia rampicanti sia tappezzanti. Lo scheletro del muro è in acciaio zincato, e la struttura è riempita con materiale vulcanico in grado di ritenere l’acqua necessaria alla vegetazione e con un substrato di sabbie, ghiaie e torbe, più fertilizzanti a lenta cessione e correttivi del pH. Il risultato è una sorta di collina artificiale fonoassorbente e resistente al fuoco. “Al posto dei vetri con su disegnate le rondini quindi, lungo le autostrade ci potrebbero presto essere delle oasi verticali”, dice Gianluca Ottaviani dell’azienda toscana: “Per ora questi muri sono stati realizzati in provincia di Novara, per dividere un parco giochi per i bambini da una strada ad alta percorrenza. Oltre a isolare acusticamente, il muro svolge anche un ruolo di mitigazione ambientale”. Le piante, infatti, schermano dalle polveri. “Qui, però, è essenziale il ruolo dell’agronomo – continua Ottaviani – per questo collaboriamo con le università di Firenze e di Pisa, dove oggi vi è uno dei più importanti centri per lo studio dei tappeti erbosi”.
La Euroambiente non è però l’unica a occuparsi di prati verticali. In Italia (e all’estero) sono sempre di più le realtà che si sono appassionate a questo genere di realizzazioni. Tra i primi a immaginare le facciate come nuovi terreni da seminare è stato il botanico parigino Patrick Blanc, famoso soprattutto per le suggestive realizzazioni al Caixa Forum di Madrid e al Museo Quai Branly della capitale francese, dove gli 800 metri quadri della facciata sono rivestiti da circa 15.000 piante di 150 specie diverse. In Italia i giardini verticali fanno ormai tendenza, anche se la mania non è ancora dilagata del tutto; in giro, comunque, si comincia a vedere qualche facciata coltivata a prato inglese o con piante mediterranee, che cambiano colore con le stagioni. Un esempio è quello della Tecology di Milano. Il loro sistema si chiama “6.sesto punto” ed è un vero e proprio prato da parati, fatto crescere su pannelli di piccole dimensioni costruiti in polipropilene (neanche a dirlo, riciclato). Ciascun pannello è formato da 130 celle che rappresentano una sorta di pixel vegetali, indipendenti le une dalle altre. Questo permette non solo di sostituire il singolo elemento nel caso si rovinasse, ma anche di creare texture personalizzati, avendo a disposizione una miriade di tipi diversi di essenze. Le piante, assicurano alla Tecology, si mantengono in totale autonomia grazie a un impianto automatizzato di fertirrigazione con elettrovalvole e sensori di umidità, in cui l’acqua viene arricchita con sostanze nutritive. I consumi? “Abbiamo stimato che una facciata esposta a Sud di un edificio del Centro Italia in piena estate assorbe circa dieci litri a metro quadro al giorno. In un’area dell’interland milanese, d’inverno, l’assorbimento è vicino allo zero. Quanto ai vantaggi, a Pisa, su un fronte Sud Est, a luglio, è stato misurato un abbattimento di dieci gradi della temperatura interna”, risponde l’architetto Simone Alberi, technical manager di Tecology, che ha in portfolio 113 progetti. Per circa 3-400 euro al metro quadro, quindi, si può avere un buon isolamento termico e acustico. Non esattamente economico quindi, ma di certo eco-fashion.
Coltiva muri anche Perlite Italiana, proprietaria dei brevetti Perliwall e Perlifence, per i rivestimenti delle pareti e delle recinzioni. I pannelli possono avere varie dimensioni (per ora il massimo è 180×160 centimetri), ed essere applicati a diretto contatto delle pareti o a una camera d’aria di ventilazione costruita ad hoc per le facciate degli edifici. La struttura reticolare di ancoraggio, autoportante, è in acciaio o in alluminio a seconda della funzione del muro; qui vengono inseriti i moduli in cui è presente il substrato terroso arricchito con un legante che agisce anche come fertilizzante per i primi 9-10 mesi. Ogni modulo può portare tipi diversi di terreno e essere quindi coltivato con specie diverse. Anche qui viene utilizzato un impianto di fertirrigazione a ciclo chiuso. Il cuore del sistema però è la perlite, una roccia vulcanica in grado di espandere il proprio volume di venti volte quando viene portata a temperature tra gli 850 e i 1000 gradi centigradi. Il risultato di questo processo è una pietra leggerissima che si comporta come una spugna, in grado di ritenere grandi quantità d’acqua e che viene mescolata alla terra.
Di forte impatto è anche l’idea degli architetti Massimo Iosaghini e Maurizio Corrado e dell’agronomo Riccardo Rigolli, presentata lo scorso anno al Fuori Salone di Milano. La loro parete verticale “South face” è un muro portante che presenta una serie di rientranze e sporgenze, creando un gioco continuo di piccole onde. Le sporgenze stesse, riempite con un substrato fertile, fungono da vaso e ospitano piante cadenti. “L’innovazione è prima di tutto di tipo culturale”, ha detto Rigolli: “La natura sta entrando sempre più nelle città e questa sperimentazione non sembra avere confini. E’ stato dimostrato una volta di più a Shangai, dove ciascun padiglione dell’Expo “Better City, Better Life” incorporava elementi di verde, e dove si è tenuta la World Green Roof Conference sulle soluzioni, le tecnologie e le esperienze di 186 paesi su questo tema. Già da più di due anni non esiste un singolo progetto di nuovo edificio che non contempli del verde pensile o verticale. È la captazione definitiva della natura nell’architettura perché le piante non sono più un accessorio estetico, ma uno strumento funzionale. D’ora in poi non se ne potrà più fare a meno”.
Il giardino verticale sa di muschio
Non è necessario essere hi-tech per innovare il concetto di prato. Lo dimostra il giardino verticale di Antologia, azienda del settore florovivaistico della provincia di Monza e Brianza. Il loro sistema si basa sull’uso dello sfagno, un muschio della famiglia delle sphagnaceae, in grado di accumulare grandi quantitativi d’acqua e di sopravvivere anche in terreni molto poveri, posti su un substrato di cemento, e con pochissima irrigazione. Secondo quanto riporta l’azienda, non è necessario alcun isolamento, ma soltanto una rete metallica che separi il muschio dal muro, assolutamente invisibile. I vantaggi sono quindi l’estrema leggerezza della struttura (circa 120 chilogrammi a metro quadro a completa saturazione), che può essere adattata anche ad ambienti interni, e la poca manutenzione necessaria. Insieme allo sfagno possono essere coltivate mote piante grasse e graminacee. Inoltre, il sistema funziona come un filtro per l’acqua piovana, che viene rilasciata senza residui di terra o di ferro, dal momento che non si utilizzano lapilli vulcanici.
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L'autore
Tiziana Moriconi
Giornalista pubblicista dal 2009, è laureata in Scienze Naturali e ha un master in Comunicazione della Scienza conseguito alla Scuola Superiore di Studi Avanzati di Trieste. Collabora con L’Espresso, Le Scienze, Mente e Cervello, Sapere, Linx Magazine (per la rubrica Internet Point), Corriere delle Comunicazioni e Wired Italia.
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nemeton magazine
scrive il 07 settembre 2010 alle ore 10:25
Consiglio a chi ha interesse nell'argomenti, il libro VERDE VERTICALE edizioni Esselibri, in cui sono riportate tutti i migliori sistemi italiani di verde verticale.
Tekneco
scrive il 07 settembre 2010 alle ore 17:33
Grazie per la segnalazione, abbiamo approfittato per aggiungere anche questo volume alla nostra "libreria digitale" su Anobii