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L’export traina l’agricoltura biodinamica

Le potenzialità di un settore che in Italia ha ancora ampi spazi di crescita

Scritto da il 27 settembre 2011 alle 8:55 | 0 commenti

L’export traina l’agricoltura biodinamica

Photo: Nh567


Si conclude l’approfondimento avviato ieri

«Il 95 per cento prodotto biodinamico italiano viene esportato verso i mercati freddi del nord Europa, visto il plusvalore dell’ottima qualità che gli riconoscono», spiega Michele Baio. Aldo Paravicini conferma che: «Sono a conoscenza di grosse realtà italiane che producono seguendo il metodo biodinamico ed esportano tutto all’estero perché sostengono che qui c’è una scarsa richiesta e una scarsa remunerazione del prodotto».

Ostacoli maggiori in Italia

Abbiamo chiesto agli esperti del settore intervistati di fornirci una panoramica esaustiva degli ostacoli maggiori che deve superare l’agricoltura biodinamica nel Bel Paese. Secondo Michele Lorenzetti, biologo ed esperto di biodinamica, un grande ostacolo è «L’approccio troppo antroposofico e ancora poco pratico. Inoltre ci sono molte teorie in circolazione e i mezzi stampa hanno diffuso il messaggio in mille salse. La biodinamica è inoltre contrastata da alcuni luminari della scienza agronomica meccanicista che difendono a spada tratta i soli interessi dell’agro business.»

A questo, Lapo Cianferoni del consiglio direttivo di Demeter Associazione Italia, aggiunge: «La mancanza di una normativa adeguata (in Australia e Svizzera il metodo biodinamico di agricoltura è riconosciuto dallo Stato) e una maggiore conoscenza da parte dei consumatori, renderebbero più facile la diffusione sia per la produzione che per il consumo di prodotti da agricoltura biodinamica.». A riguardo Aldo Paravicini ha sottolineato che: «I produttori dicono che il consumatore non li richiede e il consumatore dice che non si trovano facilmente, tuttavia la nostra azienda conosciuta ormai da anni ha una forte richiesta sul mercato». Prosegue rilevando che altri ostacoli per l’adozione del metodo biodinamico sono rappresentati dal: «Periodo di conversione dal convenzionale al biodinamico che dura un paio di anni, e siccome non si possono vendere prodotti a marchio ci sono parecchie spese da sostenere. Inoltre l’agricoltura biodinamica non è molto conosciuta e c’è il rischio di poi di non vedere. Ci sono difficoltà commerciali perché oggi è molto più difficile vendere un prodotto biodinamico che produrlo».

Cosa fare per convertirsi al metodo biodinamico

Le aziende italiane interessate ad adottare il metodo biodinamico devono seguire un processo di conversione specifico i cui tempi variano a seconda della qualità del terreno. Concretamente bisogna rivolgersi a due Enti, spiega Aldo Paravicini, «Uno è un Ente di controllo e certificazione, si chiama Demeter Associazione Italia. Rilascia il marchio di garanzia di qualità dei prodotti e controlla gli agricoltori. Il marchio ovviamente ha un costo per l’azienda ma è una garanzia per il consumatore. L’altro Ente è l’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica a cui si possono invece chiedere consulenze su come attuare i processi di conversione.»

Dove si acquistano i prodotti biodinamici

«Si possono acquistare prodotti certificati Demeter (marchio che garantisce la produzione da agricoltura biodinamica) – afferma Lapo Cianferoni- nei supermercati NaturaSì e in oltre 2 mila punti vendita specializzati, distribuiti da grossisti associati Demeter come Ecor, KiGroup, Probios e tanti altri».. Sul sito internet si può inoltre consultare la lista di tutte le aziende certificate.

I benefici per la salute

«L’agricoltura biologica e più ancora quella biodinamica, - spiega Matteo Giannattasio direttore della rivista Valore Alimentare e autore del libro “Gli additivi alimentari” – i cui regolamenti vietano l’impiego dei pesticidi di sintesi e degli additivi, mettono a nostra disposizione un cibo più sano. La ricerca, inoltre, sta mostrando che, poiché non vengono usati fertilizzanti chimici come i nitrati, si ottiene un cibo più ricco di sostanze salutari». Prosegue spiegando che: «Il paradosso del nostro modo attuale di alimentarci è che ormai si considera del tutto normale che il cibo contenga sostanze estranee potenzialmente nocive, in parte aggiunte volontariamente in fase di produzione, come i pesticidi e gli additivi, in parte dovute alla contaminazione ambientale o al confezionamento, come le diossine, il bisfenolo e tante altre.». Sottolinea inoltre che :«La legge non obbliga a produrre un cibo esente da sostanze nocive, ma un cibo che contiene sostanze nocive a condizione che esse siano presenti al di sotto di una soglia di sicurezza. Questa logica, che cozza col principio di precauzione, comporta il rischio che le sostanze nocive, accumulandosi col tempo nel nostro organismo, possano arrecarci danno sopratutto se i nostri organi di depurazione, come il fegato e i reni, non funzionano a dovere.»

Benefici per l’ambiente

«Sono quelli che andrebbero spiegati al consumatore per motivare il costo – sintetizza Aldo Paravicini- Di solito si pensa ai prodotti bio o biodinamici collegandoli strettamente a questioni di salute, mentre si trascurano i benefici incredibili per l’ambiente. Si elimina, infatti, l’inquinamento del terreno e delle falde e si salvaguardia la cura del paesaggio. Quindi alla fine ci sono costi minori anche per la collettività». Conclude specificando che: «Nella zona della Lomellina, famosa per le coltivazioni di riso, si registra l’inquinamento di pozzi molto profondi, di numerose cascine agricole, da diserbi del riso e del granoturco che non si usano da decine di anni. C’e’ un inquinamento importante delle falde acquifere. Nel 2000 fu condotta una ricerca a riguardo dall’Università Bocconi e secondo i dati emersi, i due terzi dei pozzi erano inquinati».


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L'autore

Anna Simone

Anna Simone è una Sociologa Ambientale e si occupa di tematiche ambientali dal punto di vista sociale e culturale, contestualizzando quello che succede al posto in cui è successo per comprenderlo, analizzarlo e spiegarlo. È autrice del blog Ecospiragli.


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