Depurare le acque: il filtro è bio
Ridurre i costi della depurazione degli scarichi provenienti da centri abitati ed industrie. A partire da processi naturali.
Ridurre i costi della depurazione degli scarichi provenienti da centri abitati ed industrie. A partire da processi naturali. È la tecnologia sviluppata da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Ricerca sulle Acque di Bari (Irsa) del Cnr che riduce i fanghi prodotti durante la depurazione delle acque di scarico. E consente, dunque, una diminuzione dei costi operativi.
La chiave è nel biofiltro progettato dall’Irsa-Cnr. All’interno del bioreattore i microrganismi si aggregano in forma di granuli. Possono raggiungere concentrazioni fino a dieci volte superiori a quelle che si hanno negli impianti di depurazione tradizionali. “Ma i microrganismi sono stressati dal punto di vista ambientale e limitano la loro riproduzione”, osserva Claudio Di Iaconi, ricercatore dell’Irsa Cnr che ha sviluppato il sistema di ecodepurazione. In questo modo il vantaggio è duplice. Aumenta l’efficienza del processo di depurazione. E diminuisce la produzione di fanghi. È necessaria una fase di “addestramento” dei microrganismi che dura circa tre mesi: semplificando, i reflui rappresentano il “cibo”. Attraverso il funzionamento discontinuo del sistema, i microrganismi ricevono il “cibo” a fasi alterne. E sono indotti a rallentare la velocità di riproduzione. Negli impianti tradizionali, invece, si moltiplicano più rapidamente. La diminuzione della produzione di fanghi consente di abbattere notevolmente i costi operativi dell’impianto. Sottolinea Di Iaconi: “Il trattamento e lo smaltimento finale del fango prodotto solitamente incide fino al 60% sui costi totali”. È un processo denominato SBBGR (Sequencing Batch Biofilter Granular Reactor), in fase di brevettazione. In Europa ogni anno la depurazione delle acque produce più di dieci milioni di tonnellate di fanghi. Che, a loro volta, necessitano di un ulteriore smaltimento.
Nella depurazione degli scarichi provenienti dai centri abitati la riduzione dei fanghi prodotti può arrivare fino al 80% rispetto ai sistemi tradizionali. Nel caso dei reflui industriali, si può avere una riduzione addirittura maggiore. Come, per esempio, nel caso delle concerie: sono imprese che alimentano un giro d’affari di 4 miliardi di euro in Italia. E hanno bisogno di depurare più di 30 milioni di metri cubi l’anno di acque di scarico. Con costi elevati per la presenza di sostanze inquinanti persistenti. Il biofiltro progettato dall’Irsa Cnr di Bari viene integrato con un trattamento ossidativo ad ozono: consente di rendere biodegradabili i composti “recalcitranti” contenuti nelle acque di scarico delle concerie. “Il costo di trattamento è di circa un euro a metro cubo, rispetto agli attuali tre euro dei sistemi tradizionali”, aggiunge Di Iaconi. Ma il sistema è utilizzabile anche da altre piccole e medie imprese che hanno bisogno di ridurre nel tempo i costi di smalti mento degli scarichi.
Nella fase di sperimentazione su campo il bioreattore è stato installato nel depuratore di Bari Occidentale: in dieci mesi ha raggiunto un’efficienza di rimozione del 90%. E ha contribuito a eliminare anche gli “sregolatori endocrini”: sono sostanze che, una volta arrivate in mare, entrano nella catena alimentare. Nel 2011 è prevista l’installazione di un impianto pilota a Fino Mornasco (Como) per il trattamento dei reflui dell’industria tessile. Il sistema sviluppato dall’Irsa-Cnr di Bari ha recentemente ricevuto dalla Commissione Europea il prestigioso riconoscimento di “Best Life Environment Project”. La gestione efficiente delle risorse idriche è un tema chiave anche nell’agricoltura. Soprattutto nel Mezzogiorno, dove i modelli climatologici prevedono un allungamento dei periodi di siccità. In quattro aree della Puglia è operativo il sistema Acquacard: Consorzio per la bonifica della capitanata (Foggia), Consorzio di bonifica Arneo (Lecce, Brindisi, Taranto), Consorzio di bonifica Ugento – Li Foggi (Lecce), Consorzio di bonifica Stornara e Tara (Taranto).
È un impianto che prevede l’installazione nei campi coltivati di un “gruppo di consegna”, composto da un idrocontatore (munito di idrovalvola) e da un’unità elettronica. Gli agricoltori inseriscono una tessera che ha registrato in memoria la quantità di acqua disponibile per l’intero anno: possono interagire direttamente con il dispositivo portatile attraverso una tastiera. Ogni volta utilizzano il “credito residuo” per irrigare i terreni. Si tratta di un sistema che consente di ridurre i prelievi e di semplificare la pianificazione per la gestione delle risorse idriche. “All’inizio degli anni Novanta l’acqua era distribuita a volume. Ma soprattutto nelle regioni meridionali non era sufficiente per l’irrigazione: erano necessarie turnazioni e pagamenti anticipati”, osserva Vittorio Megli, agronomo e inventore del sistema Acquacard.
È stata la scintilla che ha portato alla progettazione del sistema automatizzato per distribuire l’acqua. Megli ricorda che i consorzi di bacino raccolgono le domande degli agricoltori tra febbraio e marzo. Poi stimano la disponibilità di risorse idriche. E assegnano le quote: prima per le colture poliennali (per esempio, gli alberi da frutta), poi per le colture annuali.
Durante l’anno un agricoltore, sottraendo con Acquacard la quantità di acqua necessaria, è consapevole dei consumi. E può anche decidere di irrigare in orari prestabiliti, per esempio di notte tra le 22 e le 4 del mattino. “È un sistema che riduce gli abusi e consente una ripartizione equa, riducendo i prelievi”, commenta Megli.
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L'autore
Luca Dello Iacovo
Giornalista freelance, collabora con "Nòva-Il Sole 24 Ore". Segue l'evoluzione del mondo di internet e le frontiere della sostenibilità.
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